«Perché avi scegliuto questo anno?»

«A casaccio. Derringer ha regolato il disco esterno sul 2400... mezzo millennio sembrava una scelta plausibile. Poi io ho girato il disco interno, a occhi bendati. Quando si fa scattare questo interruttore, si crea una certa quantità di potenziale temporale, positivo o negativo, per usare un'analogia molto vaga ma comoda con i poli magnetici. Per esempio, se lo giro così...» Brent spostò il disco esterno sul 2900, «... avremo cinquecento anni di potenziale positivo che ci lanceranno avanti, nel 2793. Regolato così, avremo cinque secoli di potenziale negativo, che ci riporterà indietro, in pratica al mio punto di partenza».

Stephen aggrottò la fronte. «Avanti e indietro naturalmente essono parole assurde a questo proposito. Ma pote essere utile per aiutare Martha a visualizzarlo. Voleresti mostrare a Martha parte posteriore di tuo quadrante?»

«Perché?» Stephen non rispose. Brent alzò le spalle e si sistemò sul sedile. La matrona romana girò intorno alla macchina e prese posto sull'altro sediolo, mentre lui faceva scattare il perno del quadrante e lo apriva, come se dovesse oliarlo.

Stephen disse: «Guarda bene, mia cara. Di cosa essono faciuti grossi ingranaggi?»

«Di aceroide, naturalmente, Non ricordi che Alex...»

«Non ricordare, Martha. Guarda. Di cosa essono?»

Martha represse un grido. «Oh, essono... essono alluminio».

«Molto bene. Ora, non comprendi... Sttt!». Stephen s'interruppe e si avviò verso la porta. Rimase in ascolto per un attimo e poi si dileguò.

«Che cos'ha?» chiese Brent, richiudendo il quadrante. «L'udito di un segugio?»

«Stephen ave iperacuto senso di udito. Ne anda molto fiero, e ci ave salvato più volte da Stapper. Quando qualcuno esse impegnato in azioni contro Stato...»

Una figura d'uomo riapparve sulla soglia. Ma era vestito di bianco. «Buon Dio!» esclamò Brent. «Cribbio, gli Stap!»

Martha si lasciò sfuggire un gridolino. Una canna apparve nel pugno dello Stapper. Brent teneva gli occhi fissi sull'avversario e non vide la mano della matrona tendersi verso l'interruttore fino a quando lei non lo ebbe girato.

 

Durante il primo transito nel tempo, Brent aveva chiuso istintivamente gli occhi. Durante, rifletté, non è la parola esatta. Al tempo del? Neppure. Come puoi descrivere un evento del movimento nel tempo senza sottintendere un'altra misura temporale perpendicolare alla linea del tempo stesso? Comunque, aveva chiuso gli occhi in un laboratorio del 1942 e un attimo dopo li aveva aperti in un magazzino del 2473.

Adesso li richiuse e li tenne chiusi. Doveva riflettere un momento. Aveva giocherellato con il quadrante... dov'era fissato quando Martha aveva fatto scattare l'interruttore? 1973, se non ricordava male. E adesso aveva fatto irruzione in quel mondo, abbigliato dagli abiti di plastica del venticinquesimo secolo, accompagnato da una matrona romana che in qualche tempo lo conosceva da cinquant'anni.

La prospettiva non lo entusiasmava. E per giunta era infastidito dalla strana sensazione sussultante e lacerante che l'aveva assalito quando aveva chiuso gli occhi. Non aveva provato niente di simile durante il primo viaggio. Era andato storto qualcosa, stavolta? Era...

«Non funziona!» esclamò indignata Martha.

Brent riaprì gli occhi. Lui e Martha erano seduti nella macchina, dentro il magazzino buio.

«E siamo ancora qui!» protestò lei, vigorosamente.

«Sicuro che siamo ancora qui», Brent aggrottò la fronte. «Ma quel che vuol dire lei è che siamo ancora nello stesso tempo».

«Tu parli come Stephen. Cosa vuoi dicere?»

«O no?». Brent aggrottò la fronte ancora di più. «Se siamo ancora nello stesso tempo, dov'è lo Stapper? Non è sparito solo perché lei ha girato l'interruttore. Da quanto esiste questo magazzino?»

«Non lo sappio. Credo circa sessant'anni. Esseva quasi nuovo quando io essevo bambina. Io e Stephen venivamo a giocare qui vicino».

«Allora potremmo essere tornati indietro di qualche decennio e trovarci ancora qui. Sì, e guardi... quelle casse laggiù. Giurerei che prima non c'erano. Cioè, non c'erano dopo. Beh, comunque, allora, quando abbiamo visto lo Stapper». Brent guardò il quadrante. Indicava il 1973. E il magazzino era ancora nuovo intorno al 2420.

Brent restò seduto a fissare il quadro.

«Che importanza ave?» domandò Martha. «Dove essiamo?»

«Qui, come sopra. Ma quello che mi preoccupa è quando siamo. Venga. Vuole esplorare un po'?»

Martha scrollò la testa. «Volo stare qui. E avo paura per Stephen. Stapper lo avono prenduto? Torniamo indietro».

«Devo controllare come stanno le cose. Qualcosa è andato storto, e Derringer non mi perdonerà mai, se non scopro come e perché. Resti qui lei, se vuole».

«Sola?»

Brent si trattenne a stento dal fare parecchi commenti sul conto delle donne, in generale e in particolare. «Resti o vada, non m'interessa. Io vado».

Martha sospirò. «Come essi cambiato, John...»

 

Davanti al magazzino c'era un campo. E quando Brent l'aveva visto l'ultima volta, lì c'erano vari edifici. E sul campo, tre giovani stavano facendo un picnic. Quello spettacolo ricordò a Brent che non mangiava da molto tempo.

Si avviò verso i tre. Erano due uomini e una ragazza. Un uomo era biondo, l'altro e la ragazza avevano i capelli rossi. La ragazza aveva molti altri pregi, oltre la chioma. Era... Brent volse di nuovo gli occhi verso l'uomo fulvo. Era impossibile sbagliare: quegli occhi castani, profondi, quel naso affilato e maestoso. La barba era corta, ma era indiscutibilmente...

Brent si lanciò con un grido impaziente: «Stephen!»

Il giovane lo guardò senza capire. «Si», disse educatamente. «Cosa vole?»

Brent si prese mentalmente a calci. Aveva conosciuto Stephen in età avanzata. Cosa poteva sapere di lui lo Stephen ventenne? E all'improvviso cominciò a capire. La confusione del primo incontro cominciò a dileguarsi.

«Se le dicio», cominciò rapidamente, «che io sapio che lei esse Stephen che ave sorella Martha, che beve vincolo a dispetto di Stapper e che dubita di opportunità di Barriera, mi accetterà come uomo di cui pote fidarsi?»

«Eoni cosmici!» mormorò il giovane biondo. «Sconosciuto sapie molte cose, Stephen. Se esse Stapper, ti faceranno cambiare mente».

Il giovane dalla barba rada guardò a lungo negli occhi di Brent. Poi si frugò nella veste, estrasse una borraccia e la offrì. Brent bevve e la rese. Le loro mani s'incontrarono in una stretta salda.

Stephen sorrise agli altri. «Figlioli miei, credo che sconosciuto ci porti avventura. Mi sento come personaggio di romanzo di Varnichek». Poi si rivolse a Brent. «Conosci anche questi altri?»

Brent scosse la testa.

«Krasna e Alex. E tuo nome?»

«John Brent».

«Cosa potiamo facere per te, John?»

«Prima dicimi anno».

Alex rise e la ragazza sorrise. «E da quanto tempo tu esse vincolizzato?» chiese Alex.

Un vincolizzato, intuì Brent, doveva essere uno dedito al vincolo. «Questa esse mia prima bevuta», disse, «da 1942. O forse da 2473, secondo come faci calcoli».

Questa volta, Brent non restò deluso della reazione degli ascoltatori.

 

È facile capire quel che deve essere avvenuto, scrisse quella notte Brent, alla prima pagina del diario che Derringer gli aveva chiesto di tenere. Scriveva a mano, anche se lo detestava. La macchina da scrivere che Stephen gli aveva gentilmente offerto aveva una tastiera enorme con i quaranta e passa caratteri dell'alfabeto fonetico di Farthing, e Brent l'aveva rifiutata.

Siamo alla prima Barriera... quella che ha fatto fiasco. È stata dedicata a Cosmo e lanciata questo pomeriggio. I miei amici erano tra i pochi abitanti che non fossero presenti e in estasi alla cerimonia. Da allora hanno raccolto notizie per me. Il maledetto aggeggio doveva essere così spaventosamente sovraccarico che è esploso. Dyce-Farnsworth è rimasto ucciso e rimarrà per sempre un santo martire di Cosmo.

Ma per una frazione infinitesimale di secondo, tra il lancio e l'esplosione, la Barriera è esistita. Ed è bastato.

Se lei, mio caro dottor Derringer, avrà occasione di vedere questo diario, senza dubbio tutta la verità le balenerà istantaneamente davanti agli occhi come la folgore nel laboratorio dello Scienziato Pazzo. (E perché non avrei potuto incontrare uno Scienziato Pazzo, anziché uno assolutamente sano di mente e preciso... fino a un certo punto? Perché, dottor Derringer, vecchio imbroglione, lei non ha neppure una figlia?)

Ma dato che questo diario, diligentemente tenuto secondo le sue istruzioni, d'ora innanzi sarà probabilmente destinato soltanto ai miei occhi, dovrò cercare di chiarire alla mia mente poco ispirata che cosa ha combinato questa Barriera, che è esplosa, e quindi non può proteggere la Stasi, ma tuttavia mi impedisce irrevocabilmente di tornare indietro.

In ogni istante in cui esiste, la Barriera è invalicabile: una specie di blocco stradale nel tempo. Ora, per realizzare il sogno di Dyce-Farnsworth, impedire tutti i viaggi nel tempo, la Barriera avrebbe dovuto continuare a esistere in eterno, o almeno fin nel remoto futuro. Allora, mentre la Stasi continua anno dopo anno, ci sarebbe sempre un istante di Barriera più avanti nel tempo, per proteggerla. Non un semplice blocco stradale, ma l'abolizione totale della circolazione.

Ora, D-F ha fallito. Il futuro è spalancato. Ma nel passato recente, all'istante della distruzione, c'è il blocco stradale che, mio caro dottor Derringer, mi impedisce di sorridere ancora raggiando davanti alla sua barba nera.

Perché mi blocca? Ho cercato di scoprirlo. Stephen conosce bene la storia, ma pochissimo la scienza. Il giovanotto biondo, Alex, è tutto il contrario. Da lui ho cercato di sapere la teoria che sta alla base della Barriera.

La Barriera ha creato in quella frazione di secondo un potente campo magnetico nella dimensione temporale. Di conseguenza, ogni oggetto che si muove lungo la linea del tempo taglia il campo magnetico. L'isteresi produce forti correnti che portano l'oggetto in questo caso mea un brusco arresto. Vedasi la sensazione di shock che ho provato mentre tenevo gli occhi chiusi.

Ho fatto notare ad Alex che devo aver attraversato in un modo o nell'altro questa diabolica Barriera andando dal 1942 al 2473. Lui spiega questa apparente contraddizione sostenendo che allora viaggiavo con il flusso del tempo, sebbene a velocità molto superiore: le linee di forza del blocco erano orientate verso di me e non mi hanno fermato.

 

Brent s'interruppe e lesse a voce alta gli ultimi due capoversi al giovane scienziato che stava pasticciando con la macchina del tempo. «Come va, Alex? È abbastanza chiaro?»

«Abbastanza». Alex aggrottò la fronte. «Naturalmente aviamo bisogno di intero vocabolario nuovo per concetti temporali. Cerchiamo così disperatamente analogie...» E si alzò. «Non ci esse altro che poto facere per ora. Domani porterò qualche attrezzo da laboratorio e vederò se poto trovare qualche ingranaggio di acreoide».

«Bravo. Forse non potrò tornare indietro nel tempo: ma posso andare avanti. Avanti, fino a poco prima che lancino la seconda Barriera. Ho un lavoro da compiere».

Alex guardò la macchina con ammirazione. «Meravigliosa. Tuo dottor Derringer esse grande uomo».

«Però non ha tenuto conto degli effetti dell'isteresi crono-magnetica sulla sua macchina. Grazie a Dio ci sei tu, Alex».

«Non voli tornare a casa?»

Brent scosse la testa. «Non voglio correre rischi con gli Stapper. Resto qui con la macchina. Provvedi a sistemare la vecchia signora, eh?»

«Certo. Ma dicimi: chi esse? Lei non vole dicere niente».

«Nessuno. Soltanto un'autostoppista temporale».

Per Martha, vedere il giovane Stephen era stato un trauma tremendo. L'aveva fissato, muta, per lunghi minuti, e poi era piombata in una sorta d'isteria inarticolata. Ogni tentativo di spiegazione della sua identità, Brent ne era convinto, avrebbe soltanto peggiorato le cose. Non c'era altro da fare che affidarla alle cure della ragazza, Krasna, che appariva premurosa ed efficiente... e lasciare che continuasse a vivere così fino a quando avrebbe potuto tornare al suo tempo normale.

Brent riprese a scrivere.

 

Note filologiche: Stapper, come avrei dovuto indovinare, è una corruzione di Gestapo. Slanduch (il povero Starvel mi aveva chiesto se lo ero) mi ha lasciato sconcertato per un po'. Ho chiesto, e ho saputo che c'è più di uno Stato. Questo, il più borioso e fanatico di tutti, abbraccia l'America settentrionale, l'Australia e parti dell'Asia orientale. La lingua ufficiale, ovviamente, è l'inglese farthingizzato. Piccoli gruppi anglofoni esistono negli altri Stati, e hanno conservato le forme linguistiche irregolari più antiche. (Cfr. i montanari americani e gli ebrei spagnoli in Turchia). Uno Slanduch appartiene a uno di questi gruppi.

Ho impiegato un po' di tempo a capire l'origine della parola, ma è abbastanza ovvia: Auslandsdeutsche, i tedeschi che si isolarono allo stesso modo dal nucleo fondamentale della loro cultura. Poiché queste due parole comunissime prese a prestito indicano che in un certo periodo deve esserci stato uno spiccato dominio della lingua tedesca, ho chiesto ad Alex — con un po' di paura, devo confessarlo«Allora la guerra l'hanno vinta i tedeschi?»

Abbastanza comprensibilmente, lui ha ribattuto: «Quale guerra?»

«La seconda guerra mondiale. Incominciò nel 1939».

«Seconda?» Alex ha taciuto un attimo. «Oh, sì. Stephen mi diciò che loro... voi avevate numeri per guerre prima che storici chiamassero semplicemente 1900 Secolo di Guerre. Ma in quanto a chi vinciò... chi lo ricorda?»

 

Brent s'interruppe, augurandosi di avere l'udito di Stephen per poter individuare l'origine del piccolo rumore che si sentiva all'esterno. Oppure era uno scherzo dell'immaginazione? Continuò a scrivere:

 

Questi tre — Stephen, Alex e Krasna — sono veramente gli ospiti ideali per un viaggiatore della mia categoria. Un devoto credente nel Cosmo, un leale sostenitore della Stasi mi avrebbe denunciato agli Stapper alla prima anomalia del linguaggio o delle idee.

Sembra che facciano parte di quello che corrisponde ai movimenti clandestini del mio secolo. Cercano di minare il sistema dall'interno, seminando dubbi sottili sulla Stasi. Sperano di poter passare prima o poi a un'azione più concreta; finora si tratta soltanto di sabotaggio mentale che mira a...

 

Era proprio un rumore. Brent posò lo stilo e si mosse lungo la parete, verso l'uscio, cercando di non far rumore. Trattenne il respiro mentre la porta si apriva dolcemente. Poi, quando vide entrare la figura, si avventò.

Gli Stapper hanno i capelli corti e virili toraci piatti. Brent lasciò andare di colpo la ragazza e si scusò, confuso.

«Esso solo io», disse lei, timidamente. «Krasna. Ti avo spaventato?»

«Un po'», confessò Brent. «Alex e Stephen mi hanno detto cosa potrebbe capitare se entrasse qui uno Stapper».

«Esso dolente, John».

«Tutto a posto. Ma non dovresti andartene in giro così sola di notte. Anzi, non dovresti neppure essere immischiata in questa faccenda. Lasciala a me e a Stephen e ad Alex».

«Uomi!» Krasna s'imbronciò. «Non pensi che anche donne aviano diritto di divertirsi?»

«Non so se si possa proprio parlare di divertimento, signora mia. Ma dato che sei qui, permettimi di offrirti ospitalità. Alex mi ha lasciato un po' di vincolo. Ci si abitua. E dimmi, perché lo chiamate così?»

«Stephen me lo diciò, ma non riuscio a... Oh, si. Quando proibirono di bevere perché bevere ti face pensare che mondo essia meglio di quanto esse e naturalmente se tu ti faci mondo diverso questo esse contro Stasi e perciò lo proibirono ma continuarono a usarlo per scopi medicinali e lo tenerono in magazzini e ben presto nessuno conosciò altro tipo di liquore quindi esse chiamato vincolo. Ma non sapio perché».

«Immagino», commentò Brent, «che in questo secolo nessuno abbia mai sentito parlare di una certa Gracie Allen, ma il suo spirito è immortale. Il liquore nei magazzini era probabilmente soggetto a vincolo governativo».

«Oh...» disse Krasna, docilmente. «Lo ricorderò. Tu sapi tutto, non esse così?»

Brent la guardò insospettito, ma non c'era ironia nel tono della ragazza. «Come sta la vecchia signora?»

«Bene. Ora sta dormendo, finalmente. Alex le ave dato un po' di dormitina. Esse molto simpatica, John».

«E tu mi sembri preoccupata. Cosa c'è che non va?»

«Somiglia molto a mia madre, ma naturalmente io non ricordo molto mia madre perché essavo molto piccola quando Stapper prenderono mio padre e dopo mia madre non vivò più molto, ma la ricordo un po' e tua vecchia signora esse tanto come lei. Volerei avere conosciuto meglio mia madre, John. Esseva tanto cara. Lei...» Krasna abbassò la voce, con il tono di chi rivela un grande segreto. «Lei cucinava».

Brent ricordò la cena insapore a base di estratti, concentrati e alimenti sintetici, e rabbrividì. «Vorrei davvero che l'avessi conosciuta, Krasna».

«Tu sapi cosa vole dicere cucinare? Tu andi fuori e scavi e tiri su radici e stacchi foglie da piante, e certe persone prendevano persino animali, e poi adoperi calore e...»

«Lo so. Ero un cuoco discreto, cinquecento anni fa. Se potessi portarmi davanti a uno strato di braci, uno spicchio d'aglio e una bistecca alta due dita, signora mia, ti garantisco che ti farei schizzare gli occhi dalle orbite».

«Aglio? Bistecca?» Krasna era sbalordita. «Cosa essono?»

Brent spiegò. Per dieci minuti parlò delle gioie della tavola, dell'estatica soddisfazione della buona cucina che supera l'amore di una donna, i rapimenti dell'arte e le meraviglie della scienza. Poi lei cominciò a tempestarlo di domande.

«Stephen impara cose da libri e Alex impara cose in laboratorio ma io non sapio farlo tanto bene e tutti e due ridono di me, solo tu essi diverso e io poto imparare cose da te, John, ed esse meraviglioso. Dicimi...». E Krasna ascoltò, avidamente.

«Sai», mormorò Brent, parlando più a se stesso che a Krasna, mentre concludeva la sua esposizione della vita vissuta astaticamente, «non mi sono mai impicciato di politica, ma adesso quando penso ai miei amici che avevano simpatia per Hitler e ai miei amici che amavano Stalin e ai miei amici che parlavano bene di Franco... se quei cari signori avessero evitato errorucci come ammazzare gli ebrei od ordinare epurazioni. Era questo che volevano tutti: lo Stato Perfetto... la Stasi. Dio, se potessero vederla!»

Ai suoi piedi, Krasna si agitò inquieta. «Dicimi ancora», chiese, «di vestiti per donne che essevano astatici».

Le mani di Brent indugiarono sui fluenti capelli rossi della ragazza. «Ti sei trovata l'esperto sbagliato, signora mia. Tutto quel che ricordo, con l'interesse di ogni bravo ragazzo americano a sangue caldo, è il modo in cui le ginocchia si vedevano e non si vedevano e il seno si vedeva e basta. Sai, mi è venuto in mente il primo merito della Stasi: un uomo, qui, non potrebbe mai prendersi una scenata per non aver notato il vestito nuovo della sua ragazza».

«Ma perché?» insistette Krasna. «Perché cambiavano... moda?» Lui annui. «Perché cambiavano moda tanto spesso?»

«Ecco, in teoria — non che ci credessi veramente — lo facevano per affascinare gli uomini».

«E io porto sempre stesso vestito... ecco, non stesso, perché metto sempre uno pulito ogni mattina e qualche volta anche a sera... ma sembra sempre stesso, e ogni volta che tu mi vedi esserà sempre stesso e...». All'improvviso Krasna s'interruppe e gli appoggiò il viso contro il ginocchio.

Delicatamente, Brent le rialzò la testa e, con un sorriso, la guardò negli occhi pieni di lacrime. «Senti», disse, «ti ho spiegato che non ci credevo. Se hai la ragazza giusta, poco conta quello che ha indosso».

L'attirò a sé. Krasna era minuta e morbida e completamente astatica. Brent si senti a proprio agio con se stesso e con la vita per la prima volta dopo cinquecento anni.

 

La macchina non era stata riparata l'indomani, e neppure il giorno dopo. Alex continuava a presentare pretesti tecnici plausibili, anche se non molto comprensibili. Martha restava chiusa nella sua stanza e smaniava, ma Brent era soddisfatto di quel ritardo. Non c'era nessuna fretta; lasciare quel tempo parecchi giorni dopo non avrebbe influito sul momento in cui sarebbero ritornati nel 2473. Ma gli era piuttosto difficile farlo capire alla matrona.

Il ritardo gli dava la possibilità di vedere lo Stato in azione, e tutte le informazioni acquisite potevano tornare utili a tempo debito. Girò per la città in compagnia di vari membri del gruppo clandestino di Stephen. Visitò una Chiesa di Cosmo e ascoltò la dottrina ufficiale sul fallimento della Barriera... la Stasi di Cosmo non permetteva i viaggi nel tempo, quindi anche un tentativo di impedirlo riconoscendone l'esistenza era un affronto per Cosmo. Visitò le biblioteche e trovò solo le opere che avevano fondato la Stasi o che la sostenevano, tutte rilegate nello stesso modo uniforme che il Comitato Bibliologico Cosmico del 2047 aveva scelto perché ideale e statico. Visitò i laboratori scientifici e trovò brillanti giovani zucconi che macinavano all'infinito ciò che era già stato consolidato: ogni ricerca nuova era chiaramente pericolosa.

Ascoltò brani aridi e insopportabili di musica composti secondo il rigoroso sistema di Farinelli che, tra le altre cose, proibiva ogni alterazione di chiave e di tempo per l'intera durata di una composizione. Andò a vedere un solli, che era un film tridimensionale ingannevolmente solido, proiettato in un'arena priva di schermo (Promemoria: chiedere ad Alex come facevano), che creava un po' l'effetto di quello che i gruppi dei Piccoli Teatri del suo tempo chiamavano Teatro Circo. Ma soltanto le immagini erano robustamente tridimensionali. La vicenda era un'esposizione del tutto unidimensionale della gloria della Stasi che, al confronto, faceva sembrare le produzioni dell'Ufa e dell'Artkino opere lontanissime dalla propaganda. Brent, comunque, sospettò che l'autore fosse un dissenziente clandestino. Il cattivo, sebbene alla fine venisse trionfalmente sconfitto dagli Stapper, aveva tutte le battute più plausibili e scritte meglio, alcune addirittura tanto ingegnose e forti da seminare dubbi tra gli spettatori.

Se pure, pensò disgustato Brent, c'era qualcosa che potesse seminare dubbi in quel soddisfatto branco di bovini. Gli abitanti dello Stato, infatti, sembravano profondamente e amorosamente entusiasti di tutto quello che aveva a che fare con lo Stato e la Stasi di Cosmo. Le chiese, le biblioteche, i laboratori, la musica, i solli, tutti rappresentavano l'umanità come se fosse giunta al suo massimo culmine. Aviamo raggiungiuto perfezione, no? Allora tutto questo esse perfetto, e noi lo amiamo.

«Abbiamo bisogno», dichiarò Brent ad Alex e Stephen, una sera, «di altri come me. Tanti altri. Schiere che arrivano da tutte le epoche e fanno esplodere i petardi sotto le sedie di quei cretini. Le arti e le scienze sono degenerate ancor più che nel Medioevo. Dio, penso che se vivessi in quest'epoca e credessi nella Stasi, diventerei uno Stapper. È meglio la loro crudeltà arrogante dell'inumana indifferenza di tutti gli altri».

«Io avo fratello che esse Stapper», disse Stephen. Scendere a livello di bovi e volpi essere una cosa; diventare sciacalli esse un'altra».

«Ho capito che quelle canne paralizzano i centri nervosi, giusto? Ma dopo cosa succede?»

«Niente di buono. Prima tu veni trattato secondo metodi psicoanalitici e psicometrici per modificare tuoi concetti e adattarti a Stasi. Se questo non riusce, tu veni meticolosamente riducito a idiozia innocua. Qualche volta scoprono mente che esse troppo forte per trattamento. Esse ucciduto, ma prima Stapper si divertono con lui».

«A me non accadere mai», disse di slancio Alex. «Esso preparato. Vedi questo?». Indicò un minuscolo astuccio di plastica che portava al collo. «Contiene piccola quantità di sostanza radioattiva sensibilizzata su lunghezza d'onda di canne di Stapper. Non cambieranno mai mia mente».

«Esplode?»

Alex sogghignò. «Teniti lontano da me se canne incominciano a puntare».

«Si direbbe», mormorò pensieroso Brent, «che la crudeltà sia l'unico vizio umano rimasto. I giochi sono andati perduti, bere è proibito... e il vizio più splendido, la speculazione immaginativa, non si sente neppure nominare. Ve lo ripeto, avete bisogno di molti come me».

Stephen aggrottò la fronte. «Prima di fallimento di Barriera, spesso ci essiamo chieduti perché non vedevamo mai viaggiatori in tempo. Dubitavamo di Legge di Charnwood eppure... Aviamo deciso che ci essono solo due spiegazioni. O viaggio in tempo esse impossibile, o viaggiatori in tempo non potono essere veduti o intervenire in tempo che visitano. Ora, potiamo comprendere che Barriera ha fermato tutti viaggi da futuro e forse tu essi solo unico da passato. Eppure...»

«Esattamente», disse Alex. «Eppure. Se altri viaggiatori venono da futuro, perché anche loro non essono fermati da Barriera? Uno di nostri amici ave esaminato documentazione di Stapper dopo distruzione di Barriera. Non esseci nessun rapporto su viaggiatori strani o non identificati».

«Questo significa una sola cosa». Stephen aveva l'aria preoccupata. «Seconda Barriera, Barriera di cui tu ci avi diciuto, John, dove essere essata realizzata».

«Col cavolo che verrà realizzata. Vieni Alex. Sto diventando irrequieto. Quando posso partire?»

Alex sorrise. «Domani. Io esso finalmente pronto».

«Bravo. Detto fra noi. ributteremo questa maledetta stasi alla beatitudine dell'incerto, virile impegno. E fra cinquant'anni lo vedremo tutti insieme».

Quando Brent se ne andò, Krasna lo stava aspettando davanti alla porta della sua stanza. «Sapevo che volevi parlare di cose che io non comprendo».

«Questo puoi capirlo, signora mia. Alex ha sistemato tutto, e noi ce ne andiamo domani».

«Noi?» chiese Krasna, speranzosa.

Brent imprecò tra sé. «Noi, per intendere me e la vecchia signora. La macchina porta soltanto due persone. E devo ricondurla nel suo tempo».

«Poverina», disse Krasna, con voce spenta.

«Poveri noi», disse brusco Brent. «Solo una manciata di giorni strappata al tempo...» Per un momento folle, gli passò per la mente una possibilità. «Alex sa far funzionare la macchina. Se lui e la vecchia signora...»

«No», rispose Krasna, gravemente. «Stephen dice che ti dovi andare e che ti ritroveremo là. Io non comprendo... Ma ti ritroverò, John, e esseremo ancora insieme e parleremo e tu mi dicerai cose come prima sera che aviamo parlato e poi...»

«E poi», disse Brent, «smetteremo di parlare. Così».

Krasna teneva sempre gli occhi aperti, durante un bacio. (Era un'abitudine della Stasi, si chiese Brent, o esclusivamente sua?). Vi lesse un consenso; e tenendosi per mano si avviarono senza parlare verso il magazzino, dove Alex aveva terminato il suo lavoro per quella sera.

Un piccolo punto a favore della Stasi, pensò Brent mentre si addormentava: aveva realizzato chiusure lampo perfettamente funzionanti.

«Ora», disse Brent a Stephen dopo quella che veniva eufemisticamente chiamata colazione, «devo andare a vedere la vecchia signora e scoprire quale è la data esatta fissata per il lancio della seconda Barriera».

Stephen sorrise raggiante. «Esse essato un piacere ascoltare vecchio linguaggio, articoli e tutto».

Alex ebbe un pensiero più pratico. «Come poti regolare macchina su un giorno? lo pensavo che tuo quadrante indicasse soltanto anni».

«C'è un verniero che assicura — o dovrebbe assicurare, non è mai stato collaudato — un'approssimazione di due giorni. Calcolerò un margine di una settimana. Non voglio restare in circolazione troppo a lungo e correre il rischio di incappare negli Stapper».

«Krasna sentirà tua mancanza».

«Krasna è uno strano nome. Voialtri avete tutti nomi che erano già in uso ai miei tempi».

«Oh, quello non esse ome. Esse soltanto modo in cui tutti chiamano ragazza con capelli rossi. Credo che rìsala a secolo di dominazione russa».

«Sì», aggiunse Alex. «Vero nome di sorella di Stephen esse Martha, ma noi non la chiamiamo mai così».

John Brent restò a bocca aperta. «Devo... devo andare a vedere la vecchia signora», balbettò.

 

Dalla finestra della Martha-Krasna con i capelli grigi Brent poteva vedere, là fuori, la Krasna-Martha con i capelli rossi. Si aggrappò a una sedia, solida e rassicurante, e disse: «Bene, signora, ho notizie per lei. Oggi torniamo indietro».

«Oh. grazie a Cosmo!»

«Ma ho bisogno di sapere una cosa, da lei. Qual era la data fissata per il lancio della seconda Barriera?»

«Facimi pensare... sapio che esseva festa. Sì, essava primo maggio».

«Ahi, ahi! Il primo maggio è festa, adesso? Lavoratori di tutto il mondo unitevi, oppure più semplicemente 'è calendimaggio'?»

«Io non ti comprendo. Esse genetliaco di Dyce Farnsworth, naturalmente. Ma del resto, non ti comprendo mai...»

Mentalmente, Brent risentì lo stesso lamento che usciva da due labbra giovani e fresche. «Io... adesso comprendo, signora», disse goffamente. «Il nostro incontro... capisco perché lei...» Accidenti, che cosa poteva dire?

«Prego», disse la matrona. Paradossalmente, aveva un'aria di patetica dignità. «Non comprendo. Almeno questo lasciami dimenticare».

Brent si scostò, rispettosamente. «Al magazzino fra mezz'ora!» gridò andandosene.

La giovane Krasna-Martha era sola nel magazzino, quando Brent ci arrivò. Lui la scrutò attentamente, cercando di scorgere in quei lineamenti quelli sciupati della donna che aveva lasciato. Sì, aveva senso.

«Esso venuta prima», disse lei, «perché volevo dicerti addio senza altri».

«Addio, signora mia», mormorò Brent, con le labbra premute sugli splendidi capelli rossi di lei. «In un certo senso, non ti lascio perché ti porto con me, eppure non ti rivedrò più. E tu questo non lo comprendi, e non so se hai mai compreso qualcosa di ciò che ho detto, ma sei stata tanto cara».

«E distruggerai Barriera? Per me?»

«Per te, signora mia. E per qualche miliardo di altri. Ed ecco qua i nostri amici».

Alex portava una cassettina che mise sotto uno dei sedili. «Quadrante e meccanismo essono riparati da qualche giorno», disse sogghignando. «Io avo lavorato su questo per te, in laboratorio dove dovevo ridimostrare ipotesi di Tsvetov. Demagnetizzatore temporale... garantito. Porta questo vicino a Barriera e campo si disintegrerà. Tuo problema esse arrivare vicino a Barriera».

Martha, la matrona, entrò nella macchina. Martha, la ragazza, si girò dall'altra parte per nascondere le lacrime. Brent regolò il quadrante sul 2473 e il verniero sul 24 aprile, per avere una settimana di margine.

«Bene amici», balbettò. «Tutta la mia gratitudine... e ci vedremo fra cinquant'anni».

Stephen fece per parlare, poi s'interruppe di colpo e restò in ascolto. «Presto, Krasna, Alex. Dietro quelle casse. Gira interruttore in fretta, John».

Brent girò l'interruttore, e non successe niente. Stephen e Krasna erano ancora lì, e correvano verso le casse. Alex si precipitò alla macchina. «Cosmo mi fulmini! Avo staccato per impedire che qualcuno manomettesse per caso. E adesso...»

«Presto, Alex», chiamò sottovoce Stephen.

«Momento...». Alex aprì il quadro ed effettuò una rapidissima regolazione. «Ecco, John. Addio».

Nell'attimo prima di girare l'interruttore, Brent vide Stephen e Krasna raggiungere un nascondiglio sicuro. Vide uno Stapper apparire sulla soglia. Vide il balenio di una canna. L'ultima cosa che vide nel 2423 fu un'esplosione che staccò la testa dalle spalle di Alex.

Il sangue che l'aveva spruzzato era ancora caldo nel 2473.

Stephen, lo Stephen settantenne con la lunga barba multicolore, li stava aspettando, Martha si lanciò dalla macchina tra le sue braccia e scoppiò in singhiozzi.

«Ha incontrato se stessa», spiegò Brent. «Credo che questo l'abbia confusa».

Stephen latrò: «Poto immaginarlo. Solo adesso avo comprenduto chi esse quella donna che esse arrivata con te e che somiglia tanto a nostra madre. Ma essete molto in ritardo. Io avo aspettato qui da quando esso sfuggito a Stapper».

«Alex...» cominciò Brent.

«Lo sapio. Alex ti ava dato distruttore magnetico e ava perduto vita. Non essava uomo da morire così giovane. Essava buon amico... E anche mia sorella ava dato e perduto, credo». Stephen accarezzò dolcemente i capelli grigi che un tempo erano stati rossi. «Ma questi essono dispiaceri vecchi di cinquant'anni. Io avo vivuto con mie lacrime non piangiute per Alex: loro essono amici, ormai. E Martha aveva piangiuto sue lacrime per...» Poi s'interruppe. «Perché avi tardato tanto?»

«Non volevo arrivare qui molto prima del primo maggio... potrei cacciarmi in un guaio. Perciò ho tenuto una settimana di margine, ma probabilmente ci sarà uno scarto di un giorno o due. Che giorno è?»

«Esse primo maggio, e Barriera esserà lanciata entro ora. Doviamo affrettarci».

«Mio Dio!» Brent fissò accigliato il quadrante. «Non può esserci un simile scarto. Comunque vieni. Portiamo tua sorella a casa, e poi ci precipiteremo a fare del nostro meglio».

Martha si scosse. «Io veno con voi».

«No, cara», disse Stephen. «Potiamo fare meglio soli».

Lei strinse cocciutamente le labbra. «Io veno. Non comprendo niente di quando succede, ma tu essi Stephen e tu essi John e dovo venire con voi».

 

Le strade erano vistosamente decorate con striscioni che ostentavano doppio cerchio dell'infinito, il simbolo sacro di Cosmo che aveva sostituito la mezzaluna, la svastica e la croce. Ma non c'era quasi anima viva. Le poche persone che videro si stavano avviando tutte in fretta nella stessa direzione.

«Esseranno tutti alla consacrazione», spiegò Stephen. «Omaggio a Cosmo. Quelli che restano a casa doveranno guardarsi da Stapper».

«E se alla consacrazione saranno centinaia di migliaia, come faremo ad avvicinarci alla Barriera per distruggerla?»

«Esse tutto preordinato. Nostro gruppo esse molto più potente di quanto tu sapevi cinquant'anni fa. Lentamente ci stiamo infilando in Stato. Con corruzione e forza quando esse necessario, con persuasione quando esse possibile, potiamo facere molto. E aviamo organizzato anche questo».

«Come?»

«Tu esse delegato di Slanduch europei. Parli tedesco?»

«Piuttosto bene».

«Ricorda che anche tedesco esse essato regolarizzato. Ma dubito che averai bisogno di parlarlo. Fatto che essi Slanduch giustificherà tue sviste irregolari in inglese. Tu veni da potente gruppo di Slanduch. Esserai accogliuto qui con piacere. Occuperai posto d'onore. Avo persino trovato spiegazione per cassetta che porti. Esse omaggio che avi portato a Cosmo. Ecco tuoi documenti e targhetta d'identità».

«Grazie». Brent, sebbene avesse le gambe più corte, riuscì a star dietro ai lunghi passi di Stephen, che raddoppiava con la propria andatura la velocità del marciapiedi mobile. Martha li seguiva risolutamente, ansimando. «Ma mi sai spiegare perché sono arrivato con tanto ritardo? Ho regolato l'indicatore sul 24 aprile, e adesso stiamo correndo come pazzi per arrivare all'appuntamento del 1° maggio».

Stephen continuò a camminare, riflettendo, poi all'improvviso si diede una manata sulla coscia e latrò. «Quanti mesi in 1942?»

«Dodici, naturalmente».

«Ah! Sì, esse essato solo duecento anni fa che avano adottato calendario di tredici mesi. Mesi regolari di ventotto giorni, più Capodanno, che non appartene a nessun mese. Ordine, capisci? Ormai parte inestimabile di Stasi...» Stephen si concentrò, facendo mentalmente i calcoli. «Sì, tuo indicatore ave funzionato perfettamente. Primo maggio di nostro calendario esse 24 aprile di tuo».

Un punto di demerito per Derringer... l'irriflessiva fiducia nella durata del calendario. E un punto di demerito contro la logica della Stasi, dal punto di vista di Brent: nel ventesimo secolo, lui era stato sostenitore della riforma del calendario, ma della teoria dei quattro trimestri contro i tredici mesi.

Ormai si stavano avvicinando all'immenso anfiteatro dove era stata eretta la macchina della Barriera. Gli Stapper fermavano i pochi altri viaggiatori e li costringevano a scendere dal marciapiede mobile per mescolarsi agli abitanti con le facce illuminate dalla soddisfatta estasi della Stasi: ma le credenziali Slanduch di Brent servirono a far passare i tre.

Il rappresentante degli Slanduch tedeschi si fece largo tra la folla degli eminenti dignitari proprio mentre il nipote di Dyce-Farnsworth premeva il pulsante. La magnifica massa di fili e di valvole tremò e s'illuminò, mentre la corrente l'attraversava. Poi la luce divenne strana, artica. Vi fu una scossa, uno scricchiolio e poi, nel volgere di un secondo, un rombo cataclismico e un bagliore accecante. Qualcosa di pesante e metallico schiacciò Brent al suolo.

Il rombo si mescolò a grida frenetiche di terrore. La splendida Barriera era una massa di rottami sfasciati. Un altro rottame teneva Brent inchiodato al suolo, ma questo era diverso. Stranamente, sembrava una variante della sua macchina. E dal sedile deformato lo fissavano gli occhi enormi di un uomo nudo.

Una donna, in un costume metallico che non apparteneva a quell'epoca e neppure a quella di Brent, stava a cavalcioni de! cadavere del nipote di Dyce-Farnsworth, morto martire come il suo avo. E dovunque Brent volgesse gli occhi, vedeva altre figure stranissime... venute da altri tempi.

Sentì la voce di Martha. «Esse evidente che Barriera Temporale esse essata erigiuta e distruggila da forza esterna. Ma esse esistita e ave creato impenetrabile istante di tempo. Questi essono viaggiatori venuti da tutto futuro».

Brent restò a bocca aperta. Ancor più dell'improvvisa apparizione di tutti quei personaggi sbalorditivi lo stupiva il fatto che Martha parlasse secondo una logica perfetta.

 

Brent scrisse nel suo diario:

La Stasi è, se non altro, un organismo che funziona ammirevolmente. Per un minuto si è scatenato l'inferno, ma quasi automaticamente gli Stapper sono entrati in azione con le loro canne strano, come questo verso di una vecchia canzoncina della mala sia diventato una verità letteralee in un momento hanno preso in pugno la situazione.

Hanno avuto qualche difficoltà. Molti degli intrusi temporali erano armati, e sono riusciti a far fuori diversi Stapper prima che i raggi nervini li paralizzassero. Una macchina era una specie di carro armato temporale, ed è riuscita a resistere all'assedio fino a quando una squadra suicida di Stapper l'ha attaccata con un carico di quella che Stephen chiama detonite; non sapremo mai da che futuro venissero i passeggeri del carro armato per spargere i brandelli dei loro corpi nell'intero anfiteatro.

Ma questi eventi sono stati soltanto un'azione ritardante, una resistenza vana. Dieci minuti dopo l'esplosione della Barriera, i viaggiatori presenti erano tutti nelle mani degli Stapper, e altre squadre di Stapper stavano rastrellando con molta efficienza il territorio circostante.

(Sorprendentemente, Martha ha esposto un'ipotesi interessante: mentre tutte le macchine del tempo capaci di movimento fisico sono state attratte irresistibilmente nell'anfiteatro dal campo crono-temporale, solo le macchine pionieristiche e sperimentali come la mia Derringer, che possono muoversi soltanto nel tempo, dovevano essersi arrestate in altre località. Non so se questa teoria sia esatta, ma sembra giustificata dai fatti. Sono arrivate solo poche segnalazioni isolate di apparizioni improvvise avvenute altrove al momento dell'esplosione della Barriera: il punto focale degli arrivi dei viaggiatori nel tempo è stato l'anfiteatro).

Il Capo degli Stapper è salito sul palco dove una bandiera ornata del simbolo dell'infinito copriva il corpo del giovane martire Dyce-Farnsworth, e ha annunciato la decisione ufficiale del Capo di Stato: gli intrusi violatori della Stasi dovevano venire arrestati... interrogati ed esaminati e studiati, fino a quando non fosse risultato evidente quale poteva essere il desiderio di Cosmo.

(Il capo di Stato, mi ha spiegato Stephen, è un personaggio di rappresentanza che non conta niente, un po' sommo sacerdote e un po' — per parafrasare — Pinco Pallino. La Stasi, secondo la dottrina, è così perfetta e autosufficiente che i poteri del Capo di Stato sono nominali come quelli del pilota di una nave in bacino di carenaggio, e tutto il potere effettivo viene esercitato da subordinati come il Censore di Stato e il Capo degli Stapper).

Grazie all'ingegnosa trovata di Stephen, questa decisione circa il trattamento dei viaggiatori nel tempo non mi riguarda. Io sono semplicemente un rappresentante degli Slanduch. Qualche gruppo di Stapper avrà trovato senza dubbio, ormai, la macchina di Derringer nel magazzino, che io non oso più avvicinare.

Adesso che ci sono due Barriere tra me e il 1942, è evidente che tengo questo diario soltanto per me stesso. Sono bloccato qui... e così pure tutti gli altri viaggiatori, perché il campo, molto più forte del primo, ha rovinato irreparabilmente le loro macchine, e non riuscirebbe a ripararle neppure un genio più grande del povero Alex. Siamo tutti qui per restarci.

E spero che serva a qualcosa.

Credo ancora fermamente a quello che ho detto a Stephen e Alex: quest'epoca ha bisogno di centinaia di individui come me per ritornare umana. Adesso abbiamo, se non centinaia, almeno dozzine di viaggiatori nel tempo e io, a quanto ne sappiamo al momento, sono l'unico che non sia finito nelle mani degli Stapper. È evidentemente mio dovere liberare gli altri e, con il loro aiuto, introdurre a forza un po' di buon senso in questa Era della Presunzione.

 

«Ma come?» gemette Brent, retoricamente. «Come potrò fare irruzione nel campo di concentramento degli Stapper?»

Martha inarcò le sopracciglia. «Io credo di saperlo. Lasciami riflettere ancora un poco; credo di comprendere come potiamo almeno cominciare».

Brent la fissò. «Come le è successo, signora? Prima si tirava sempre fuori da tutte le discussioni fra me e Stephen. Diceva che parlavamo di cose di cui non capiva niente. E adesso, di colpo... bum!, se ne interessa e se la cava anche benone. Che cosa l'ha presa?»

«Credo», rispose sorridendo Martha, «che tu avi usato frase esatta, John».

L'esclamazione sbalordita di Brent fu interrotta dall'entrata di Stephen. «E dove eri andato?» chiese Brent. «Io ho cercato di fare un piano, e ho la strana impressione che Martha riuscirà a farlo meglio di me. Cosa hai combinato?»

Stephen guardò incuriosito la sorella. «Esso andato fuori a galuppare. Risultati interessanti, anche».

«Galuppare?»

«Non lo sapi? Andare in mezzo a gente, prelevare campioni di opinione, usare metodi scientifici per riducere campioni scrupolosamente scegliuti a tendenze generali».

«Oh». (Mr. Gallup con i suoi sondaggi, pensò Brent, era diventato un verbo, come il capitano Boycott e il dottor Guillotin). «E che cosa hai scoperto?»

«Gente esse confusa da arrivo di viaggiatori in tempo. Se Stasi esse perfetta, diciono, perché permette questi arrivi? Avono seminati semi di dubbio e noi li stiamo accuratamente inaffiando. Capo di Stato ave grosso problema e dubito che pota trovare soluzione che soddisfacia gente».

«Se almeno ci fosse un modo diretto per arrivare alla gente», sospirò Brent. «Se potessimo vedere questi viaggiatori e apprendere ciò che sanno e ciò che vogliono, e poi stabilire in qualche modo un contatto tra loro e la gente... dovrebbe essere decisivo».

Fu Martha a rispondere. «Esse molto semplice, John. Tu essi linguista».

«Sì. E questo cosa...»

«Stapper averanno bisogno di interpreti. Tu esserai uno. Poi doverai sviluppare un tuo piano, ma questo almeno ti metterà in contatto con viaggiatori».

«Ma anche lo Stato deve avere i suoi linguisti...»

Stephen latrò di piacere e prosegui la spiegazione. Dopo che Farthing aveva regolarizzato l'inglese, la perfetta immutabilità de! linguaggio era entrata a far parte della Stasi. Adesso, un linguista era un uomo che conosceva a memoria le opere di Farthing, e tutto finiva lì. Oh, poteva darsi che conoscesse anche il tedesco di Zinsmeister, o lo spagnolo di Tamayo y Sàrate: ma non conosceva i principii linguistici generali, spesso contrari alle teorie di quei grandi sintetisti, e non aveva mai avuto occasione di acquisire l'adattabilità a una lingua nuova. Di fronte alle strane, incomprensibili lingue del futuro, il linguista di Stato era ridotto all'impotenza.

Tutti sapevano che soltanto gli Slanduch avevano una vera attitudine linguistica. Poiché crescevano parlando tre lingue — l'inglese farthingizzato, il loro dialetto arcaico e la lingua del paese di residenza — erano svegli e adattabili. In tempi normali, quell'attitudine veniva guardata con sospetto; ma adesso ci sarebbe stata indubbiamente una forte richiesta di interpreti Slanduch, e qualche prudente pressione poteva far sì che Brent ottenesse l'incarico.

«E dopo», disse Stephen, «come ave osservato giustamente Martha doverai arrangiarti da solo».

«Basta che mi faccia avere l'incarico», sogghignò John Brent.

 

Il piccolo linguista di Stato, che sembrava un coniglio, accolse Brent con grandi effusioni. «Ah, grazie a Cosmo!» esclamò. «Viaggiatori mi faceranno diventare matto! Farfugliamenti incomprensibili che non si essono mai sentiti! Che irregolarità! Spaventoso! Lei esse Slanduch?»

«Io esso Slanduch. Avo sempre parlato diverse lingue. Sapio parlare persino tedesco pre-Zinsmeister». E Brent cominciò a recitare Die Lorelei: «Die Luft ist kühl und es dunkelt, und ruhig fliesst der Rhein...»

«Orribile! Ist! Che atroce irregolarità! E articoli! Ma vena con me, giovanotto. Vèderemo coma poterà facere con questi barbari temporali!»

C'erano tre viaggiatori nella stanza dove entrò Brent, accompagnato dall'inorridito linguista e da due Stapper armati. Una era la donna che lui aveva notato nel primo, catastrofico momento dell'arrivo, un'amazzone bionda che aveva tutta l'aria di poter fare a pezzi due Stapper disarmati, a mani nude. Un altro era un omino lindo, con la barbetta ricciuta e biforcuta e le mani irrequiete. Il terzo...

Il terzo era indescrivibile. Adesso erano tutti vestiti degli abiti consueti della Stasi, ma anche così si vedeva benissimo che non era umano. Se l'uomo è un bipede implume, allora era un uomo; ma di solito gli uomini non hanno la pelle verdastra, con squame e tracce di aperture branchiali dietro le orecchie.

«Chieda tre cose a ognuno di loro», spiegò il linguista a Brent: «Da dove vene, quale esse suo nome, e quali essono sue intenzioni».

Brent scelse Barbetta, per cominciare; gli sembrava il cliente più facile. «Sta bene. Lei!» Tese la mano, e l'uomo si fece avanti. «Da che parte del tempo arriva?»

«La malasorte a te, signor mio, e che il diavolo ti porti! Se d'ascoltarmi ti degnassi, tutto apprender potresti».

Il linguista di Stato gemette. «Ave sentito, giovanotto? Come esse possibile interpretare questo gergo?»

Brent sorrise. «Esse normale. Questo esse semplicemente inglese come essava parlato mille anni fa. Quest'uomo doveva essere dirigiuto verso tempo precedente e si essava preparato... Ti domando venia, signore. Cotesti cialtroni tengon ogni linguaggio per barbarico fuorché quel che la lor stessa presunzione ha creato. Porta pazienza con me e tutto si risolverà in letizia».

«Hai parlato da degno cavaliere!» esclamò il viaggiatore. «Perdona le mie parole avventate, signore. Sicuramente il mio buon demone a me ti condusse. Ordunque, conoscer tu vorresti...»

«Donde vieni?»

«Da molt'anni avante. Mille e mille estati ancor trascorrere deggiono prima ch'io...»

«Ti chiedo venia, signore: ma di questo già eravamo accorti. Siimi, ti prego, più preciso».

«Ebbene, signore, io vengo dal quinto secolo».

Brent aggrottò la fronte. Ma cercare di comprendere il sistema di datazione di quel gentiluomo avrebbe richiesto troppo tempo, al momento. «E il nome tuo. signore?»

«Kruj, signore. O se t'aggrada d'esser formale e cerimonioso, Kruj Krujil Krujilar. Ma Kruj ti basti».

«E ciò di che si curano sopra ogni cosa i gentiluomini qui stanti, sono gli intendimenti tuoi. Quali son i tuoi progetti in questo nostro più antico mondo?»

«I miei progetti?» Kruj tossì. «Signore, ben veggio che tu sei uomo d'alto sentire, al qual io posso confidare i pensier miei. Molti progetti io nutro in verità, molto accuratamente per me progettati dallo Zhurmandril. Molto degg'io studiare in questi reami della grande Elisabetta... benché, affé mia! Or non comprendo perché tanto diversi appaiano dalle mie previsioni! Ma una cosa io bramo sopra tutto. Visitar vorrei la Taverna della Sirena».

Brent sogghignò. «Ho gran tema, signore, che parlar dovremo assai più lungamente. Molte cose hai tu errato, e molte cose deggio io chiarirti. Ma prima deggio parlar con codesti altri».

Kruj si ritirò, accigliandosi e tirandosi la barbetta. Brent fece un cenno alla donna. Lei si fece avanti così energicamente che i due Stapper estrassero le canne.

«Signora», chiese Brent, incerto, «da che parte di tempo arriva?»

«Tuti palao coi strao», ringhiò lei. «M io caisco. Peché nsuno capie me?»

Brent rise: «Tutto qui il guaio? Non le dispiace se continuo a parlare così, vero?»

«No. Lei pali coe vuoe, peò nommi piae palare coi».

Affascinante, pensò Brent. Una quantità di consonanti perdute. E le vocali si erano corrotte lungo linee presenti nel linguaggio colloquiale del ventesimo secolo. Qualche volta le consonanti legavano insieme due parole.

«Dunque, da che tempo è venuta?»

«Venni-noe venni-cique. E deso doe soo?»

«Duemilaquattrocentosettantatre. E il suo nome, signora?»

«Mimì».

Brent ebbe un'assurda visione di quella gigantessa che moriva melodrammaticamente di tisi in una soffitta parigina. «Bene. E cos'ha intenzione di fare qui?»

«Nonno neuna intenione. Soo veere coa sucee».

«Lo vedrà, signora, glielo assicuro. E adesso...» Brent rivolse un cenno al bipede verde, e quello avanzò con un bizzarro movimento ondulante, come un palombaro.

«E lei signore? Da quando viene?»

«Ya studier langue terrestre. Vyerit todo langue isos. Ou comprendo wie govorit people».

Brent era stordito. La familiarità di alcune di quelle parole rendeva ancora più incomprensibile l'intero discorso. «Come?»

L'uomo verde sbottò: «Ou existier nada but scemi, cochons, duraki v this terre? Nikovo parla langue terrestre? Potztausend Sapperment en la leche de tu madre and I do mean you!»

Brent barcollò. Ma mentre barcollava vide il cipiglio di disapprovazione del linguista di Stato e il fremito nervoso delle dita degli Stapper. Si rivolse con calma all'uomo verde e disse, con estrema cortesia: «Era brillico e i smirti tovi tondoprillavano sull'acque fiumate degli anderivienanti piccioni sull'erba ahimé». Poi si girò verso il linguista. «Dice che non vuol parlare».

Brent scrisse nel diario che Derringer non avrebbe mai letto:

 

Ancora una volta è stata Martha a risolvermi il problema dell'uomo verde. Mi ha fatto notare che era chiaramente extraterrestre. (A quanto pare, la Legge dell'Accelerazione Spaziale di Nakamura è falsa quanto la Legge del Metabolismo Temporale di Charnwood). Le vestigia delle squame e delle branchie potrebbero indicare che è originario di Venere. Deve provenire da un futuro remotissimo, nel quale la terra brulica di abitanti d'altri pianeti e la cultura terrestre è andata quasi completamente perduta. Si è preparato per il viaggio nel tempo studiando la lingua della terra — langue terrestre — ricostruita in base a un equivalente più voluminoso della Pietra di Rosetta; ma ha commesso l'errore di credere che ci fosse una sola lingua terrestre, come noi tendiamo a pensare che il marziano o il venusiano siano una lingua unica. Di conseguenza, parla contemporaneamente tutte le lingue terrestri. Martha ritiene che questo sia un vantaggio, ancor più del dialetto corrotto di Mimì...

 

«Tu, signore», disse Brent a Kruj nel corso della visita successiva, «sei un linguista. Ben conosci la favella e la di lei natura. Eppertanto, son certo che con ben scarso affanno tu comprender potresti cotesta donna. Un che ha appreso l'eloquio nostro nel suo più gran fulgore...»

L'omino sfoggiò un gran sorriso. «Sien rese grazie a te, signore. In verità, dacché ier le favellasti, alcuni tentativi ho fatto di conversar seco lei».

Mimì s'intromise. «Lui pala strao, ma simpatio».

«Allora sta bene. Voglio che entrambi ma soprattutto tu, Kruj, attentamente ascoltiate cotesto verde furfante. Studia la di lui favella, signore, e più che puoi apprendine».

«Peché?» chiese Mimì in tono bellicoso.

«Ben disse la fanciulla. Perché far lo dovremmo?»

«Lo scoprirete. Adesso lasciate provare a me».

 

Fu un lavoro lento e difficile, soprattutto con il linguista e gli Stapper che montavano sempre la guardia. Richiedeva un'analisi rapida della possibile origine di ogni parola usata dal venusiano, e un laborioso tentativo di trovare a casaccio termini che lui potesse capire. Ma nel giro di una settimana Brent e lo straordinariamente adattabile Kruj avevano imparato abbastanza quella poliglotta langue terrestre per sostenere una conversazione intelleggibile. Mimì era irrimediabilmente spersa, ma qualche volta Kruj le spiegava come stavano le cose nel suo idioma corrotto, che adesso lui parlava correntemente quanto l'inglese elisabettiano.

Stephen aveva deciso che prima di pensare a liberare i viaggiatori temporali bisognava saperne di più sul loro conto. «Tu essi uomo di buona volontà, John. Ci fidiamo di te. Tu e uomi come te potete salvarci. Ma immagina che alcuni viaggiatori venano da mondi anche peggiori di nostro. Immagina che venano a cercare soltanto potere per se stessi; immagina che venano da civiltà crudele e che essiano più malvagi di Stapper».

Era un'obiezione ragionevole, e fu Martha a intravvedere la soluzione nel sorprendente linguaggio del venusiano. In quel miscuglio di idiomi, Brent poteva parlare davanti al linguista e agli Stapper in assoluta sicurezza. Kruj e il venusiano, che doveva possedere una straordinaria abilità per aver imparato la lingua di un altro pianeta, anche se in quel modo strano, potevano discutere con gli altri viaggiatori, e riferire a lui tutto quel che gli interessava anche in presenza delle guardie dello Stato.

Tutte le conversazioni, naturalmente, era dirette in teoria dal linguista, che rivolgeva le domande a Brent e riceveva risposte plausibili, senza mai sospettare che le sue domande non erano mai state inoltrate agli interessati.

In quanto ai suoi tre, Brent era convinto che la loro liberazione sarebbe stata utilissima. Mimì non era geniale, ma sembrava piena di buone intenzioni e sosteneva di essere stata un'illustre guerriera nella sua società matriarcale. Proprio per le sue imprese in battaglia e nelle esplorazioni era stata prescelta per il viaggio nel tempo. Poteva essere un'alleata preziosa.

Kruj si mostrò indifferente alla triste condizione del mondo fino a quando Brent non gli parlò del livello banale e servile cui erano ridotte le arti. Da quel momento cominciò a smaniare per rovesciare la Stasi e inaugurare un nuovo Rinascimento. (Kruj, come aveva scoperto Brent, si era messo in viaggo per il passato allo scopo di raccogliere materiale per un'epica storica sull'Inghilterra elisabettiana, un periodo della civiltà preistorica che l'aveva sempre affascinato).

Fra i tre Nikobat, il venusiano, sembrava il più solido e promettente. Per lui la civiltà terrestre era un libro chiuso, ma bellissimo. Trovava commoventi la vita e le lotte dell'uomo. Lo scopo di Nikobat, nel suo mondo, era stato innalzare la trapiantata civiltà venusiana ai livelli spirituali e scientifici raggiunti nel passato dall'uomo terrestre, e per trovare l'ispirazione aveva viaggiato a ritroso nel tempo. L'uomo degenerato, l'uomo tronfio e pieno di sé lo scandalizzava profondamente: e quindi giurò di fare tutto il possibile per provocare il risveglio.

Brent era piuttosto soddisfatto di sé quando lasciò il suo gruppo dopo una seduta molto riuscita. Kruj stava ottenendo buoni risultati con gli altri viaggiatori, e l'indomani gli avrebbe fatto un rapporto pressoché completo. E dopo avrebbero potuto cercare di mettere in pratica lo straordinario piano di salvataggio ideato da Martha. Normalmente, Brent non l'avrebbe ritenuto possibile, ma lui e Stephen cominciavano a nutrire una fiducia sempre più grande nei suggerimenti della non più svanita Martha. I rapporti di Stephen, d'altra parte, erano più che favorevoli. Il movimento clandestino stava lavorando magnificamente dall'interno. Gli abitanti dello Stato diventavano sempre più irrequieti e dubbiosi. Poco a poco, i bovini andavano riassumendo forme umane.

Brent fischiettava allegramente quando entrò nell'appartamento. Gridò un gaio «Ehilà» ai suoi amici. Ma loro non c'erano. Nel soggiorno c'era soltanto uno Stapper biancovestito, che sorrise malignamente alzandosi da una poltrona e chiese: «Lei esse viaggiatore temporale, no?»

Era lo Stapper più impressionante che Brent avesse mai visto... impressionante anche non considerando quella frase sconvolgente. Gli altri, persino quello che lui aveva preso a calci in faccia o quello che aveva ucciso Alex, Brent li aveva considerati semplicemente Stapper e basta. Ma questo era singolare. Aveva la pelle eccezionalmente scura, liscia e glabra, e gli occhi così neri che sembravano tutti pupille.

Brent cercò di mostrarsi disinvolto. «Sciocchezze. Io esso delegato Slanduch da Germania, alloggio qui presso amici e svolgo servizio per Stato. Questa esse mia targhetta d'identità».

Lo Stapper la guardò appena. «Io sapio tutto di suoi servizi linguistici, John Brent. E sapio di macchina nasconduta e ritrovata in magazzino abbandonato. Esse unica macchina non romputa da Barriera. Quindi non provene da Futuro, ma da Passato».

«E allora? Aviamo viaggiatori da entrambe direzioni? Povero diavolo non poterà mai tornare suo tempo, quindi». Brent si chiese se quello Stapper era corruttibile: lui sentiva il bisogno di buttar giù un po' di vincolo.

«Sì, esse perduto qui in questo tempo come altri. E scioccamente lavora con loro per rovesciare Stasi».

«Molto triste. Ma questo perché doverebbe riguardarmi? Miei documenti essono in regola. Pote ben vedere che io esso quel che dicio».

Lo Stapper lo fissò con quegli occhi penetranti. «Lei esse furbo, John Brent. Lei ave indubbiamente viaggiato nudo e si esse rivestito come cittadino di questo tempo per sottrarsi a sospetti. Questo esse sistema più furbo. Come avia ottenuto documenti io non sapio. Ma comunicazione con Slanduch di Germania smentirà sua storia. Lei esse perduto, Brent, se non esserà ragionevole».

«Ragionevole? Cosa diavolo vuol dire?»

Lo Stapper sorrise. «Vole dicere», fece con voce strascicata.

«Esso dolente. Ma questo non prova nulla. Lei sapie quanto esse difficile per noi Slanduch usare linguaggio completamente regolare».

«Lo sapio». Un gran sorriso spuntò sulla faccia dello Stapper, umanizzandola. «Anch'io avo trovato questa lingua farthingizzata infermente difficile».

«Allora anche lei esse Slanduch?»

Lo Stapper scrollò la testa. «Anch'io, Brent, esso viaggiatore».

Brent non era disposto a cadere in trappola. «Ridicolo! Come pote viaggiatore essere Stapper?»

«Come pote viaggiatore essere delegato Slanduch? Anch'io avo viaggiato nudo e uomo cui avo rubato abiti e documenti di identificazione esseva Stapper. Avo trovato sua identità utilissima».

«Non le credo».

«Lei esse molto ostinato, John Brent. Come provare...». Lo Stapper si indicò la faccia. «Guardi mia pelle. In mio secolo pelo facciale esse scomparito, eliminato genericamente. Dove in questo tempo poterebbe trovare pelle come mia?»

«Un caso. Uno scherzo di cromosomi».

Gli occhi neri diventarono ancora più grandi e più ardenti. «Brent, lei dove credermi. Questa non esse trappola. Avo bisogno di lei. Io e lei potiamo facere grandi cose. Ma come convincerla...» Lo Stapper schioccò le dita. «Lo sapio!». Restò immobile e silenzioso per un momento. Gli occhi enormi erano aperti ma un po' velati, come se l'uomo fosse impegnato in calcoli misteriosi. Rabbrividì. Per un momento, per una bizzarra illusione, Brent credette di scorgere la sedia attraverso il corpo dello Stapper: ma poi ridiventò solido.

«Mio nome», disse lo Stapper con la pazienza di un professore che si rivolge a una classe di subnormali, «esse Bokor. Io veno da decimo secolo dopo compimento di unità terrestre, che esse, credo, quarantatreesimo secolo contando da data di nascita di dio cristiano. Io avo viaggiato, non con macchina, ma solo usando formula di Vunmurd e quindi io solo di tutti viaggiatori bloccati qui poto ancora muoversi. Isteresi di Barriera mi arresta, ma non pote distruggere mia formula come sfascia macchine».

«Bella storia».

«Quindi io solo di viaggiatori poto ancora viaggiare. Poto andare indietro per formula non distruggiuta e urtare ancora Barriera. Se urto Barriera due volte, io esisto due volte in quel punto di tempo. Poi ognuno di due me continua in presente».

«Dunque adesso lei esse due?» osservò Brent in tono scettico. «Evidentemente io esso sobrio. Mi sembra di vedere uno solo».

Bokor sogghignò di nuovo. Chissà perché, questo volta il suo sorriso non parve altrettanto umanizzante. «Entra!» chiamò.

Lo Stapper sulla soglia fissò Brent con gli ardenti occhi neri e chiese: «Adesso crede che io esso viaggiatore?»

Sbalordito, Brent guardò prima uno poi l'altro. Erano identici. Quello sulla soglia continuò: «Io avo bisogno di lei».

«Non è possibile. È uno scherzo. Siete due Stapper gemelli e state cercando di...»

Il Bokor seduto sulla sedia disse: «Dovo rifacerlo?»

Brent disse: «Può darsi che siate Stapper tutti e due. Può darsi che ci sia un intero maledetto reggimento di gemelli identici. Non me ne importa niente. Devo bere un po' di vincolo. E voi, ragazzi?»

I due Bokor trangugiarono il liquore. «Leggero», dissero.

Brent scosse la testa, stancamente. «D'accordo. Lasciamo perdere. Perché diavolo avete bisogno di me?»

Bokor chiuse gli occhi e sembrò assopirsi. Bokor Sub-Uno disse: «Lei ave piani per liberare viaggiatori e rovesciare Stasi. Come Stapper avo scoprito molte cose. Avo lavorato per cambiare mente di uno di suoi amici clandestini».

«E vuol mettersi dalla nostra parte? Bene, può farci comodo uno Stapper. O magari due. Ma il Capo degli Stapper non si allarmerà nello scoprire che ha due copie dello stesso uomo?»

«Non doverà vederne mai più di una. Sì, volo aiutarvi... fino a certo punto. Libereremo viaggiatori. Ma lei esse ingenuo, Brent. Non rovesceremo Stasi. La mantenereno... nostra».

Brent si accigliò. «Non sono ben sicuro di aver capito. E se ho capito, non credo che l'idea mi piaccia».

«Non essia stupido, Brent. Noi aviamo occasione mal data prima a uomo, noi viaggiatori. Venamo in mondo dove esiste già completo e assoluto controllo di Stato, ma usato stupidamente senza scopo. Mettuti insieme, noi aviamo grande conoscenza e potere. Noi essiamo semi seminati su terreno incolto. Potiamo entrare in azione e inghiottire tutti intorno a noi». Gli occhi ardevano neri e intensi. «Noi prendiamo questa Stasi e la modelliamo secondo nostri desideri. Questi idioti che ora essono schiavi di Cosmo esseranno schiavi nostri. Stapper di cui avo identità esse terzo in successione di Capo di Stapper. Capo e altri due veniranno ucciduti accidentalmente in rivolta di viaggiatori. Con potere di tutti Stapper a mie spalle, io facerò di lei Capo di Stato. Noi due domineremo questo Stato in modo assoluto».

«Sciocchezze», sbuffò Brent. «Lo Stato ha già anche troppo controllo. Questo mondo ha bisogno di ritornare alla libertà e all'impegno».

«Ingenuo», ripeté sprezzante Bokor Sub-Uno. «A chi interessa cosa ave bisogno mondo? Unico bisogno che interessa a uomo esse suo e suo bisogno più forte esse sempre potere. Qui potere esse a nostra disposizione. Altri Stati essono stupidi e soddisfatti come questo. Noi conosciamo segreti di molte armi, noi viaggiatori. Adattiamo nostri inutili laboratori scolastici per loro produzione. Poi attacchiamo altri Stati e li assoggettiamo come vassalli. E allora tutto mondo esserà nostro, con tutte sue ricchezze. Alessandro, Cesare, Napoleone, Hitler, Gospodinov, Tirazhul... mai mondo averà conosciuto conquistatori come noi».

«Potete andarvene al diavolo», rispose Brent, con disinvolta fermezza. «Tutti e due».

«Non facerti troppo furbo, amico mio. Ricorda che io esso Stapper e poto...»

«Voi siete due Stapper, il che può diventare piuttosto imbarazzante. Ma potreste essere anche un reggimento di Stapper, e io non ci starei lo stesso. Il tuo piano fa schifo, Bokor, e sai cosa puoi fartene».

Bokor Sub-Uno interpretò alla lettera quell'espressione idiomatica. «Io sapio veramente cosa facermene, Brent. Esserebbe essato più facile con tuo aiuto, ma riuscirà anche senza di te». Tirò fuori la canna e la contemplò, pensieroso. «No», mormorò poi. «Non ave senso arrestarti e cambiare tua mente. Tu essi innocuo per me, e mi esserai utile liberando viaggiatori».

Il Bokor originale apri gli occhi. «Ci incontreremo ancora, Brent. E vederai cosa pote facere in questo mondo un solo uomo con mente ardita». Bokor e Bokor Sub-Uno raggiunsero la porta e si voltarono. «E per vincolo», dissero all'unisono, parodiando la frase convenzionale degli Stapper. «Stato ti ringrazia».

Brent rimase solo nel soggiorno, ma si sentiva ancora suggestionato dagli occhi neri e dominatori dei due Bokor. Il piano era così maledettamente plausibile e aveva tante probabilità di riuscire se fosse stato messo in pratica. L'uomo ha sempre sognato il potere. Ma, dannazione, l'uomo ha sognato sempre anche l'amore, e i diritti del suo prossimo. L'unico potere degno dell'uomo è il potere dell'umanità intera che lotta collettivamente, protesa verso una meta di perfezione irraggiungibile.

E cosa poteva fare Bokor contro Kruj e Mimì e Nikobat e gli altri che a quanto riferiva Kruj simpatizzavano con la loro causa?

Indubbiamente, in quegli occhi enormi c'era stata la certezza che il doppio Bokor sapeva benissimo ciò che poteva fare.

 

La liberazione dei viaggiatori fu un episodio favoloso. Stephen aveva aggrottato la fronte e Brent aveva riso, quando Martha aveva detto semplicemente: «Unica persona che avia potere di rilasciarli esse Capo di Stato per volontà di Cosmo. Benissimo. Noi lo convinceremo a facerlo». Aveva insistito, e aveva sempre avuto stranamente ragione dal momento dell'esplosione della seconda Barriera; e così alla fine, quando Kruj ebbe fatto il suo rapporto conclusivo, Brent l'accompagnò in quella che, ne era certo, era la missione più sciocca nella quale si fosse finora lasciato coinvolgere.

Il rapporto di Kruj era incoraggiante. C'erano due o forse tre viaggiatori che avevano idee bokoriane e pensavano di impadronirsi dello Stato nel proprio interesse. Ma erano una piccolissima minoranza in confronto alle dozzine di altri che si rendevano conto delle enormi possibilità di un risveglio della razza umana. La liberazione era senza dubbio auspicabile, ma perché mai il Capo di Stato avrebbe dovuto rilasciare tanto sollecitamente i sovvertitori della sua Stasi?

La visita al Capo di Stato portò via quasi un giorno intero. Bisognava parlare prima con innumerevoli funzionari, tutti sorvegliati da Stapper che guardavano con estremo sospetto il presunto delegato Slanduch. Ma uno ad uno, con meravigliosa uniformità, i funzionari accoglievano raggianti la proposta di Brent e lo facevano passare con le benedizioni di Cosmo.

«Le dispiacerebbe darmi un pizzicotto?» mormorò Brent a Martha dopo il quinto successo consecutivo. «Va tutto troppo liscio. Non può essere vero».

Martha lo fissò, stordita e disse: «Non comprendo. Ma cosa doveremo dicere?»

Brent sussultò. «Ehi! Stia a sentire, signora. È stata tutta un'idea sua. Doveva convincere il Capo di Stato a...»

Ma uno Stapper si stava già avvicinando per accompagnarli in un altro ufficio e Brent ammutolì.

Nell'anticamera del Capo di Stato incontrarono Bokor. Era uno solo, questa volta. Sorrise confidenzialmente a Brent e disse: «Incidente tragico, oggi. Stapper ucciduto in scontro con prigioniero. Strano... Stapper esseva secondo in successione di Capo di Stapper».

«Se la sta cavando proprio bene», disse Brent.

«Esso curioso di vedere cosa intende facere qui. Come spera di ottenere questa liberazione? Avo parlato con Capo di Stato ieri e lui esse decisamente contrario».

«Fratello», rispose sinceramente Brent, «vorrei proprio saperlo».

Dopo un momento, Bokor li introdusse nel sanctum sanctorum del Capo di Stato. A prima vista, l'alto dignitario era una figura magnifica, alto, prestante, nobile. Solo guardandolo si notavano la bocca debole, e gli occhi orribilmente vacui. L'austero, grifagno Capo degli Stapper stava in piedi accanto a lui.

«Bene!» esclamò quest'ultimo. «Dicete quel che avete da dicere!»

Brent s'impappinò e lanciò un'occhiata a Martha. Ma lei appariva stordita e sperduta come era sempre stata prima dell'esplosione della Barriera. Brent poté soltanto continuare a parlare, augurandosi che il piano che Martha non aveva mai rivelato si concretasse.

«Come lei sapie, signore», esordì, «io, come interprete, esso rimanuto in stretto contatto con viaggiatori. Sollecito di bene di Cosmo e desideroso di vederlo pienamente sviluppato per quanto esse possibile, riteno che molto si pote compiere liberando viaggiatori perché potano comunicare con popolazione». Brent deglutì e imprecò fra sé per essersi lasciato indurre a presentare una richiesta tanto idiota.

Gli occhi vacui del Capo di Stato s'illuminarono per un momento. «Eccellente idea», tuonò con voce dolcigna. «Lei ave autorizzazione di Stato e Cosmo. Capo, ordino che tutti viaggiatori essano rilasciati».

Brent sentì, alle sue spalle, l'esclamazione incredula di Bokor. Il Capo degli Stapper borbottò fervorosamente «Cosmo!» Il capo di Stato si guardò intorno come per chiedere approvazione e ripiombò nella sua atonia.

«Ringrazio Stato», riuscì a dire Brent, «per questa coraggiosa decisione».

«Cosa esse coraggiosa?» chiese il Capo di Stato. Girò gli occhi nervosamente. «Cosa avo faciuto? Cosa avo diciuto?»

Il Capo degli Stapper s'inchinò. «Lei ave proclamato liberazione di viaggiatori. Poto congratularmi per saggia decisione?» Poi si rivolse a Bokor: «Lei andi subito a dare ordini necessari».

Martha non disse una parola fino a quando furono usciti. Poi chiese: «Cosa esse succeduto? Perché ave consentito, in nome di Cosmo?»

«Signora, non so proprio. Ma dovrebbe saperlo lei. È stata un'idea sua».

Sul volto della donna riapparve la comprensione. «Certamente. Ormai esse venuto momento che tu sappia tutto di me. Ma aspetta che essiamo tornati in appartamento. Anche Stephen ave diritto di sapere. E anche Martha», aggiunse Martha.

 

Avevano lasciato Bokor nel sanctum sanctorum e incontrarono Bokor davanti al palazzo. Brent non si preoccupò troppo, ma cominciò a sentirsi turbato quando passò davanti a un gruppetto di persone, poco più lontano, e vide che al centro c'era un terzo Bokor. Trascinò Martha giù dal marciapiede mobile e si avvicinò al gruppo.

Questa volta, Bokor non era uno Stapper. Indossava i normali abiti iridescenti. «Vi dicio che lo sapio», stava insistendo energicamente. «Io sono... io esso Slanduch di Stato di Sud America e poto raccontarvi diavolerie che stanno praticando lì. Fabbriche di armamenti grandi doppio di laboratori di Cosmo. Avono intenzione di annientarci: io lo sapio».

Uno Stapper si fece largo, passando davanti a Brent. «Ehilà!» borbottò. «Cosa succede?»

Bokor esitò. «Niente, signore. Ho solo...»

«Ho, eh?»

«Mi scusi, signore. Avo; Io esso Slanduch, vede, e...»

Uno tra la folla l'interruppe. «Ci stava dicendo quello che tutto Stato dove sapere... piani di Stato di Sud America per invaderci e distruggerci».

«Uhm-uhm!» esclamò lo Stapper. «Lei ave ragione. Sembra che questo meriti di essere ascoltato. Lei andi pure avanti».

Bokor ricominciò a raccontare, e lo Stapper confermò ufficialmente restando ad ascoltare in silenzio. Brent passò oltre, lanciando un'occhiata alla faccia dello Stapper. Aveva intuito esattamente. Era un altro Bokor.

Quella scena indicativa lo aveva fatto indugiare: perciò i suoi tre viaggiatori arrivarono nell'appartamento prima di lui. Quando Brent e Martha arrivarono, Stephen era tutto preso da una discussione filosofica con il venusiano sulla tragica nobiltà della natura umana, mentre Kruj e Mimì stavano assaggiando il vincolo. Le loro rispettive civiltà non dovevano essere molto portate all'alcol: Kruj gesticolava appassionatamente mentre Mimì gli rivolgeva sorrisi raggianti e ridacchiava.

Tutti e tre avevano abbandonato gli abiti standardizzati della Stasi e, in quell'ambiente intimo e amichevole, avevano indossato di nuovo le vesti con cui erano arrivati: Kruj, una versione bizzarramente semplificata e modificata del pomposo costume da cortigiano dell'era elisabettiana che aveva sperato di raggiungere. Mimì la sorprendente armatura di metallo sconosciuto che era la sua uniforme di guerriera, e Nikobat un perizoma color bronzo che faceva spiccare splendidamente la sua pelle verde.

Brent presentò gli ospiti di Martha alla padrona di casa e continuò: «Dichiaro aperta la riunione dello stato maggiore. Dobbiamo fare i nostri piani con grande cura, perché abbiamo a che fare con un'opposizione tenace. C'è un altro viaggiatore che...»

«Un momento», disse la voce di Martha. «Non doverebbe presentare anche me?»

«Le chiedo scusa, signori ma ho appena finito di farlo. E adesso...»

«Esso dolente», continuò la voce di lei. «Ancora non ha compreso. Lei ave presentato Martha, sì... ma non me».

Stephen si rivolse ai viaggiatori. «Dovo chiedere scusa per mia sorella. Ave passato strane esperienze di recente. Ave viaggiato con nostro amico John e ave incontrato se stessa in sua vita precedente. Temo che trauma la avia squilibrata temporaneamente... e temporalmente».

«Nessuno di voi pote capire cosa tanto semplice?» chiese la voce della donna in tono implorante. «Io sto semplicemente usando la voce di Martha come strumento di comunicazione. Con altrettanta facilità poto...»

«Corpo di Bacco!» esclamò Kruj. «È del pari facile e fors'anco più piacevole toglier in prestito la voce di questo viaggiatore al fin di spiegarmi».

«Opue», aggiunse Mimì, «poo palae coì, ma nommi piae moto».

Stephen stralunò gli occhi. «Vole dicere che lei esse viaggiatore senza corpo?»

«Adesso ce l'ho», Brent sentì la propria voce pronunciare quelle parole. «Posso cambiare come diavolo mi pare e piace. Ho scelto per prima la donna perché la sua mente era più facile da occupare, e credo che continuerò a servirmi di lei. Brent è un po' difficile da tenere sotto controllo».

Stephen annuì. «Allora tutti buoni consigli che Martha ci ave dato...»

«Essono miei, naturalmente». Il viaggiatore incorporeo era rientrato in Martha.

Brent si lasciò sfuggire un'esclamazione. «Adesso capisco come ha fatto a ottenere il rilascio dei viaggiatori. Ci ha fatti entrare usurpando la mente e la voce di tutti i funzionari che abbiamo abbordato, poi si è impadronito del Capo di Stato e del Capo degli Stapper perché dessero il loro consenso».

Martha annuì. «Precisamente».

«È un sistema che ci sarà maledettamente utile. E da dove viene, signore? Oppure è una signora?»

«Veno da futuro tanto lontano che neppure nostro amico venusiano pote concepirlo. E in quel tempo distinzione fra signore e signora non ave significato».

L'azzimatissimo Kruj lanciò un'occhiata all'imponente amazzone che gli stava accanto. «Qual sventura», mormorò.

«E con quali intenzioni è venuto qui, per continuare a usare il questionario del linguista di Stato?»

«Mie intenzioni. Ascoltate tutti. Noi non potiamo plasmare finalità. Grandi disegni essono modellati indipendentemente da noi. In mio tempo, essavo storico. Conoscio disegni di umanità fino a minuti dettagli. E sapio che Stephen dove guidare popolo di questa Era di Presunzione liberandolo di sua stupidità e riportandolo a umanità».

Stephen arrossì, imbarazzato. «Non avo alcun desiderio di essere guida. Ma per questa causa uomo deve facere ciò che pote».

«Questo esse fine supremo di questa sezione di disegno. Esse fissato. Tutto ciò che noi viaggiatori potiamo facere esse aiutarlo più saggiamente che potiamo e rendere dettagli di disegno piacevoli per quanto possibile. E questo faceremo».

Stephen era così assorto nell'ascoltare che per una volta il suo udito finissimo fece cilecca. La porta si spalancò all'improvviso ed entrò Bokor.

«Per le piaghe di nostro Signore!» gridò Kruj. «Uno Stapper!»

Stephen sorrise. «Perché temere Stapper? Voi essere liberati legalmente!»

«Stapper un corno!» sbuffò Brent. «Dunque, Bokor? Si ostina ancora a insistere con il suo piano?»

Gli occhi profondi di Bokor scrutarono la stanza. Poi sorrise lievemente. «Volo soltanto mostrarle qualcosa, Brent. Così saperà con cosa ave a che facere. Avo trovato due giovani scienziati insoddisfatti di normale ricerca per Cosmo. Ora lavorano a miei ordini e avono faciuto questa per me». Bokor aveva in mano una canna.

«È una canna. E allora?»

«Ma esse canna diversa, Brent. Non paralizza. Distrugge». La canna puntò successivamente su tutti i presenti, uno dopo l'altro. «Volo facerle vedere cosa poto realizzare».

«Fioipuana!» gridò Mimì, e fece per alzarsi.

«Stato la ringrazia, signora, per avermi aiutato a decidere. Darò dimostrazione su di lei. Guardi. Brent, e si renda conto che non ave nessuna possibilità contro di me». Bokor puntò con fermezza la canna contro Mimì.

«Facite qualcosa!» urlò Martha.

Accadde tutto in una volta, ma Brent ebbe la sensazione di vedere la scena al rallentatore, mentre si muoveva. Mimì si avventò, furiosamente. Kruj si tuffò, l'abbrancò e la trascinò sul pavimento, lontano dalla linea di tiro. Nello stesso istante Brent si scagliò avanti, mentre Bokor si muoveva, e la canna puntò direttamente verso di lui. Ma non riuscì a frenare. Stava piombando verso il nuovo strumento di morte. E poi la canna puntò verso la testa di Bokor.

Non vi fu né rumore né lampo. Ma il corpo di Bokor era sul pavimento, e la testa non c'era più.

«Esse essato difficile», disse la voce di Martha. «Avo dovuto restare in sua mente abbastanza a lungo per azionare canna, ma uscirne prima di morte. Questione di frazioni di secondo».

«Ottimo lavoro, signore-signora», borbottò Brent. Abbassò lo sguardo sul cadavere. «Ma era uno solo»

 

Brent scrisse nel suo diario:

 

Un giorno solo, e il mondo è cambiato! Una settimana, per essere più preciso, ma il cambiamento è stato comunque improvviso e impressionante.

Il nostro innominato visitatore venuto dal futuro — sempre che nel suo tempo non abbiano bisogno né di titoli né di sesso — che per praticità ho chiamato Sirdam, ha organizzato i nostri piani imperniandoli sull'idea centrale di interferire il meno possibile... spingendo gli abitanti della Stasi a realizzare da soli la loro salvezza. I viaggiatori non compaiono apertamente in questo grande mutamento. Lavoriamo per mezzo dei compagni di Stephen.

Siamo una quarantina (credo di potermi contare fra i viaggiatori, ma non so di preciso quale sia adesso la mia posizione), e quindi ognuno di noi può occuparsi di cinque o dieci ragazzi (e ragazze) di Stephen, scegliendo quelli che hanno interessi più vicini ai nostri rispettivi campi. Abbiamo quindi un gruppo operativo di clandestini tra i duecento e i cinquecento elementi... il numero cambia di continuo, via via che qualcuno viene tenuto d'occhio dagli Stapper o si sottrae alla loro osservazione, via via che arrivano altre reclute o che (come purtroppo avverrà nonostante tutte le precauzioni) uno dei nostri solidi veterani subisce il cambiamento della mente e conclude che Stasi esse perfetta, dopotutto.

Il miglior esempio per dimostrare i risultati da noi ottenuti è l'episodio del professor Harrington, la cui competenza specializzata, nel campo del cosiddetto sapere, è la preservazione della Legge dell'Accelerazione Spaziale di Nakamura, la quale aveva definitivamente dimostrato ai fondatori della Stasi l'impossibilità dei viaggi interplanetari.

Naturalmente, questo rientrava nel campo di Nikobat. Un giovane scienziato, affiliato al movimento clandestino ho saputo che è nipote di Alexha esposto la dottrina di Nakamura così come l'aveva imparata, e l'ha ridimensionata. Il venusiano ha impiegato meno di cinque minuti per mettere il dito sull'errore fondamentale della formulazione... l'omissione totale, in tutti i calcoli, della deriva galattica. Quando tale correzione è stata applicata alle formule di Nakamura, queste sono apparse per le stupidaggini che sono. La stessa presenza di Nikobat bastava a dimostrarlo.

Non è stato Nikobat bensì il giovanotto a sottoporre le prove al professor Harrington. La scena deve essere stata classica. «Ho visto», ci ha riferito più tardi il giovanotto (stanno tutti cercando disperatamente di disimparare l'inglese farthingizzato) «che è rimasto a bocca aperta, così larga come abisso che lui trovava improvvisamente in universo».

Perché il professore non era uno stupido. Era semplicemente condizionato fin dall'infanzia ad accettare la Stasi di Cosmo, e non l'aveva mai messa in dubbio. E per giunta, doveva avere avuto amici le cui menti erano state cambiate, quando avevano spinto troppo in là le loro speculazioni.

Dopo il primo shock, gli occhi di Harrington si sono illuminati. Ha afferrato carta e matita e ha controllato e ricontrollato febbrilmente le nuove equazioni. Poi ha chiamato mezza dozzina dei suoi studenti migliori e ha assegnato loro un compito apparentemente di routine... interpolare le variazioni della deriva galattica alle formule di Nakamura.

Gli studenti, alla fine, erano sbalorditi quanto il professore. Il primo che ha finito ha fissato incredulo i risultati e ha esclamato: «Nakamura si essava sbagliato!»

E questo è un caso tipico. Le pecore sono pronte a svegliarsi, ognuna a modo suo. Kruj sta addestrando i suoi uomini ad associarsi agli scrittori della Stasi. Quell'uomo ha una conoscenza fenomenale della letteratura di tutti i periodi e specialmente dell'amatissima Età Elisabettiana, e la sua memoria è sovraumana. E quattro scrittori su cinque che sentono i suoi discepoli perorare le gioie del linguaggio creativo e citare ì drammaturghi elisabettiani e la Bibbia di re Giacomo non si accontentano più di scrivere propaganda della Stasi per i solli e i libri tutti rilegati allo stesso modo delle biblioteche di Stato.

Anch'io ho contribuito mica male a sedurre il mondo, istruendo i cuochi. Nel mio tempo non ero niente di più di un mediocre dilettante, ma qui è come se fossi Escoffier o Brillat-Savarin. Rubiamo piante e animali dai laboratori scientifici, e nelle nostre mani diventano verdure e carne; e molti uomini della strada, che non si curano se la loro scienza è falsa e la loro arte è fossilizzante, all'improvviso si sono accorti di aver motivi di risentimento contro lo Stato che li nutre di concentrati insipidi.

Il punto focale della situazione è Stephen. È difficile analizzare il perché. Ognuno di noi viaggiatori ha trovato tra i clandestini qualcuno assai più abile di lui nel proprio campo, eppure tutti quanti, viaggiatori e clandestini, riconosciamo in Stephen il nostro capo indiscusso. Forse è per la tranquilla, gentile bontà del suo carattere. Forse è perché lui e Alex, organizzando questo gruppo clandestino di ribelli istintivi, furono i primi ad ammettere apertamente che la Stasi è inumana e a cercare di rimediare. Ma qualunque sia la causa, tutti noi contiamo sempre di più sulla calma sicurezza di Stephen.

Nikobat dice...

 

Brent s'interruppe quando Kruj Krujil Krujilar entrò barcollando. L'ometto non era più azzimato. Aveva le vesti a brandelli, e la loro iridescenza era coperta dal rosso del sangue. Ansimò le prime parole nella sua lingua, poi si riprese. «Agir deggiamo di conserva, John. Dov'è Stephen?»

«Al quartier generale clandestino. Ma cos'è successo?»

«Mi stavo appressando all'edificio dove siam acquartierati noi viaggiatori, quando ho scorto centinaia d'uomini che s'avanzavano per la via. Alcuni d'essi vestivan come noi, altri come Stapper. E tutti...» Kruj rabbrividì. «Tutti avean il medesimo volto... un glabro volto bruno dagli occhi neri».

Brent balzò in piedi. «Bokor!» Quell'uomo s'era moltiplicato trasformandosi in un reggimento. Un uomo che era cento uomini — e perché no mille? o milioni? — poteva diventare veramente un conquistatore. «Com'è andata?»

«Essi son entrati nell'edificio. Ben sovvenendomi che nulla potea fare, son giunto in cerca di te e Stephen e dell'incorporeo. Ma mentre percorrevo la via, ecco!, ad ogni cantone spuntar ho visto un altro con quella faccia, e ognun d'essi esortava la gente a serbar la Stasi e ad uccidere i viaggiatori. Son stato riconosciuto. Per bontà della sorte coloro che m'han assaltato eran privi di canne, eppertanto ho salvato la vita».

Brent rifletté in gran fretta. «Martha è con Stephen, quindi anche Sirdam è là, probabilmente. Vai subito da lui e avvertilo. Io andrò all'alloggio dei viaggiatori a vedere cos'è successo. Ti raggiungerò al quartier generale al più presto possibile». Kruj esitò. «Mimì...»

«La condurrò con me, se potrò. Adesso vai».

 

Per le strade la gente era impazzita. Folle scatenate intasavano i marciapiedi mobili. In lontananza, fiamme enormi si levavano al cielo e il loro splendore furioso si rifletteva negli occhi della gente. Erano i normali cittadini della Stasi, non più bovini, o meglio erano bovini imbizzarriti.

Una voce tuonò, come se provenisse dal cielo. Brent riconobbe il sistema di altoparlanti pubblici, usato per i messaggi urgenti dello Stato. «Rivolta di viaggiatori si esse diffonduta ad anfiteatro di Cosmo. Incendi appiccati da viaggiatori attaccano luogo sacro. Popolo di Cosmo: sterminate viaggiatori!»

Non c'era niente che permettesse di riconoscere in Brent un viaggiatore. Si spinse avanti insieme alla folla, urlando come gli altri. Non riuscì a farsi strada: venne trascinato da quelle schiumanti ondate umane.

Poi vide, poco più avanti, tre Bokor che spingevano contro l'orda. Se l'avessero riconosciuto... Cercò a tentoni lungo il muro. Proprio mentre un Bokor guardava dalla sua parte, trovò quello che cercava... una delle nicchie che gli Stapper usavano per spiare. Si insinuò nel nascondiglio e guardò fuori, cautamente.

Vide uscire dalla porta accanto un uomo che conosceva di vista... un noto sceneggiatore dei solli, che aveva promesso di convertirsi alle idee dei discepoli di Kruj. Tre della folla lo fermarono.

«Quale esse suo nome?»

«Dove sta andando?»

Lo sceneggiatore dei solli esitò. «Sto andando ad anfiteatro. Altoparlante ave diciuto...»

«Da quando vene?»

«Da presente, perché?»

«Quale esse suo nome?»

«John...»

«Ah!» urlò il primo cittadino. «Stapper ci avono diciuto di cercare questo John. Facetelo a pezzi! Esse viaggiatore!»

«No, veramente. Non esso viaggiatore. Io esso sceneggiatore di solli».

Uno dei cittadini rise crudelmente. «Facetelo a pezzi per suoi pessimi solli!»

Vi fu un urlo lunghissimo...

 

Il fuoco genera il fuoco, letteralmente e metaforicamente. La residenza dei viaggiatori era in fiamme, quando Brent la raggiunse. Una folla festante acclamava e rideva.

Brent cercò di farsi largo, ma una mano gli toccò il braccio e una voce nota mormorò: «Achtung! Ou vkhodit».

Brent interpretò l'avvertimento e lasciò che il venusiano lo trascinasse in disparte. Nikobat spiegò, rapidamente.

«Sono venuti gli Stapper e li hanno stesi tutti con le canne paralizzanti. Li hanno portati via... Dio sa cosa ne faranno. Non c'è rimasto nessuno, lì dentro: l'incendio è puramente dimostrativo».

«Ma tu... come hai fatto...»

«I miei centri nervosi non reagiscono nello stesso modo. Ho fatto il morto e poi me ne sono andato. Anche Mimì si è salvata: la sua armatura deflette i raggi. Credo sia andata ad avvertire i clandestini».

«E allora vieni».

«Non starmi troppo vicino», ammoni Nikobat. «Mi riconosceranno per un viaggiatore. Tieniti fuori dalla portata delle canne puntate contro di me. E prendi questi. Li ho tolti a uno Stapper che ho strangolato. Questa è una canna paralizzatrice; l'altro è un annientatore».

 

La mezz'ora che seguì fu un incubo... un crescendo di fiamme e di sangue e di corpi sudati e di odio. La Stasi della Stupidità stava diventando la Stasi della Crudeltà. Per due volte, gruppi di cittadini fermarono Brent. Erano disarmati: prudentemente, Bokor teneva le armi per sé, ben sapendo che a una folla inferocita bastano zanne e artigli. Il primo gruppo, Brent lo lasciò parzialmente paralizzato. La seconda volta, confuse le due armi. Non aveva avuto intenzione di uccidere.

Non confuse le armi quando incontrò due Bokor. Ma cosa contava annientarne due? Prosegui, lottando, e finalmente raggiunse Nikobat a destinazione. Nell'attimo in cui s'incontrarono, la voce uscì di nuovo, tonante, dall'aria. «Importante! Nuovo Capo di Stapper ave annunciato che cariche di Capo di Stapper e di Capo di Stato essono unificate. Sotto nuovo regime, viaggiatori veniranno eliminati e Stasi preservata. Poi attaccheremo Sud America per gloria di Cosmo!»

Brent rabbrividì. «E avevamo cominciato così bene il nostro Rinascimento!»

Nikobat scrollò la testa. «Ma il viaggiatore incorporeo ha detto che Stephen avrebbe distrutto la Stasi. Quel delinquente multiplo non può cambiare quello che è già avvenuto».

«Non può? È megiio non correre rischi».

Il quartier generale dei clandestini era in una soffitta. Ed era un bene. La botola d'ingresso dal basso non si notava, e la folla inferocita non l'aveva vista. Brent bussò nel modo convenzionale, la botola si aprì, e venne calata una scaletta. Salirono in fretta.

La soffitta sembrava un'infermeria. Cinque o sei feriti, seguaci di Stephen, giacevano gemendo sul pavimento. Con loro c'era Kruj. L'ometto era sfuggito a un raggio diretto dell'annientatore, ma aveva perso una mano. Il sangue colava dalla fasciatura e Mimì, sorprendentemente femminile e assai poco amazzone, gli reggeva la testa sulle ginocchia.

«Sembra che non sia necessario avvertirvi», osservò Brent.

Stephen scosse la testa. «Essiamo intrappolati qui. Per un poco esseremo al sicuro. Se usciamo...»

Brent gli porse le sue armi. «Tu sei l'uomo che dobbiamo salvare, Stephen. Sai ciò che ha detto Sirdam... tutto dipende da te. Usale per difenderti, e noi tenteremo una sortita. Se riusciremo a perderci tra la folla dei cittadini, avremo una speranza di cavarcela. Oppure...» si rivolse a Martha-Sirdam. «Hai un'idea?»

«Sì. Ma solo come estrema risorsa».

Nikobat stava sbirciando dalla finestra. «Siamo già all'estrema risorsa», disse. «Là fuori c'è una cinquantina di quegli Stapper identici, e stanno venendo qui. Si comportano come se sapessero che ci siamo noi».

Brent stava guardando Stephen, e vide una cosa strana. Il suo viso era inespressivo, ma nei suoi occhi Brent ebbe la sensazione di leggere una lotta. Stephen tremò, in uno sforzo di volontà: poi i suoi occhi ridivennero limpidi. «No», disse chiaramente. «Non avi bisogno di controllarmi. Capisco. Avi ragione. Facerò come avi diciuto». E alzò l'annientatore.

Brent fece per muoversi, ma i muscoli non obbedirono all'ordine del suo cervello. Per quanto forzasse la sua volontà, restò immobile. Era il viaggiatore incorporeo che lo teneva immoto a guardare Stephen che si puntava la canna alla tempia.

«Questa esse cosa migliore che poto facere per uomi», disse semplicemente Stephen. E il suo cadavere senza testa crollò sul pavimento.

Brent si sentì libero. Si lanciò, ma invano. Ormai, gli uomini non potevano fare più nulla per Stephen. Brent gettò un grido soffocato di dolore e di angoscia.

Poi le grida stupite dei clandestini lo distolsero dal corpo dell'amico. Si guardò intorno. Dov'era Nikobat? Dov'era Kruj e Mimì?

Cominciò a intuire vagamente la verità. Si precipitò alla finestra e guardò fuori.

Davanti alla casa non c'era neppure un Bokor. C'erano soltanto pochi cittadini che guardavano storditi lo spazio vuoto.

In quel momento si fece sentire l'altoparlante. «Annuncio», disse una voce tremula, sconvolta. «Capo di Stapper esse appena scomparito». E dopo un momento aggiunse: «Guardie riferono che tutti viaggiatori essono svaniti».

Davanti alla casa, i cittadini si stropicciavano gli occhi come se si de stassero da un incubo.

 

«Ma non capisce, signora? No? Bene, mi lasci riprovare». Per Brent non era facile spiegare a Martha l'eroica morte del fratello. «Ricorda quello che ci aveva detto il viaggiatore incorporeo? La Stasi era stata rovesciata da Stephen».

«Ma Stephen esse morto».

«Precisamente. Quindi ascolti: tutti quei viaggiatori venivano da un futuro nel quale Stephen aveva rovesciato la Stasi, e così, quando Stephen sì è ucciso, come Sirdam aveva intuito, ha distrutto quel futuro. Un mondo nel quale Stephen è morto senza riuscire nel suo intento è un mondo nel quale non può entrare nessuno che provenga da quell'altro futuro. I loro mondi sono spariti, e anche loro. Era l'unico modo per eliminare la minaccia del Bokor moltiplicato».

«Stephen esse morto. Adesso non pote rovesciare Stasi».

«Mia cara signora... Diavolo, lasciamo perdere. Ma la Stasi è finita comunque, in questo mondo nuovo creato dalla morte di Stephen. Ho fatto anch'io un po' di galluppo. Ora la gente è convinta che i numerosi esemplari di Bokor fossero invasori malvagi. La gente è molto elastica: teme il ricordo di quegli uomini, e teme anche le idee di crudeltà e di conquista alle quali i Bokor quasi l'aveva convertita.

«Ma non possono liberarsi dai dubbi e dalla nuova consapevolezza che abbiamo seminato nelle loro menti. E ciò che resta del vostro movimento dovrà continuare l'opera. No, la Stasi è condannata, anche se erigeranno ancora un'altra Barriera».

«Oh». Martha rabbrividì. «Tu non li lascerai facere».

Brent sorrise. «Signora, c'è ben poco che posso fare per impedirlo. L'erigeranno, e questo è quanto. Perché, vede, tutti i viaggiatori sono spariti».

«Ma perché?»

Brent scrollò le spalle e desistette. «Beve un po' di vincolo con me?» Era piuttosto chiaro. Il punto del tempo bloccato dalla seconda Barriera esisteva tanto nei passato dei mondi di Nikobat e di Sirdam, e nel passato del futuro in cui ora stavano entrando. Ma se quella strada del futuro si estendeva diritta, allora i viaggiatori — viaggiatori diversi, venuti da un futuro diverso, ma comunque viaggiatori — sarebbero apparsi al posto di blocco. I Bokor e Nikobat e gli altri che erano scomparsi sarebbero stati sostituiti da un altro gruppo di viaggiatori arenati.

Ma nessuno, in quel mondo alternato ignoto a Sirdam nel quale Ste phen era morto senza riuscire nel suo intento, era arrivato dalla strada del futuro. Più avanti c'era un posto di blocco. La Stasi avrebbe eretto un'altra Barriera... e Dio volesse che un successore di Alex potesse crea re ancora il mezzo per distruggerla. E i viaggiatori di quel futuro... sarebbero stati come Sirdam, pronti a consigliare e a guidare gli uomini, o come Bokor, decisi a corromperli e a svilirli?

Brent alzò il bicchiere di vincolo. «Al momento dopo la prossima Barriera!» disse.

 

Il Twonky

The Twonky

di «Lewis Padgett» [Henry Kuttner e C.L. Moore]

Astounding, settembre

 

Henry Kuttner e Catherine L. Moore, la più famosa coppia di coniugi scrittori nella storia della fantascienza, produssero una cospicua quantità di opere notevolissime, da quando si sposarono nel 1940 fino agli inizi degli Anni Cinquanta. Sebbene Kuttner avesse scritto parecchie cose ottime prima del 1940, sotto il proprio nome e un numero sorprendente di pseudonimi, la sua fama era un po' inferiore a quella della Moore, che era diventata una stella negli Anni Trenta grazie alle sue serie di «Northwest Smith» e di «Jirel di Joiry».

Come hanno fatto osservare molti storici, le migliori opere scritte dal solo Kuttner erano di altissimo livello, benché dopo il matrimonio quasi tutti gli scritti pubblicati sotto l'uno o l'altro dei loro nomi o dei loro pseudonimi (e «Padgett» fu il più famoso e importante) fossero frutto del lavoro comune, nel senso più vero della parola. Il loro periodo più prolifico fu la seconda metà degli Anni Quaranta, e li incontreremo spesso nei futuri volumi di questa serie.

«Il Twonky» rimase un po' in ombra nel numero di Astounding del settembre 1942 perché c'erano anche «Barriera» di Boucher e «Nervi» di del Rey: tuttavia è un ottimo, ingegnoso racconto che parla di bambini, di radio e di una curiosissima forma di controllo sociale. In seguito ne fu ricavato un film (The Twonky, 1952), ma l'adattamento non riusciva a rendere il vero spirito del racconto.

 

(Qualche volta mi è capitato di lavorare in collaborazione, e ho sempre ritenuto che sia molto difficile. Mi è molto difficile accettare i punti di vista di qualcun altro in relazione a quello che sto facendo; e invariabilmente non riesco a capire perché qualcun altro debba mettere in discussione le mie opinioni che sono così evidentemente giuste. Tuttavia Kuttner e la Moore non soltanto riuscirono a portare avanti una collaborazione riuscitissima, così stretta che è apparentemente impossibile capire chi dei due abbia scritto un testo o un altro, ma nel contempo ce la fecero anche a mandare benissimo avanti il loro matrimonio. Naturalmente, qualcuno domanderà come faccio a collaborare con Marty in questa serie di antologie. La risposta è semplice: Marty ha un così buon carattere ed è così disposto ad addossarsi il lavoro più noioso scrivere per chiedere le autorizzazioni, tenere i conti, occuparsi della corrispondenza — che io sarei un idiota se non riuscissi a mantenere con lui una collaborazione perfettamente armoniosa. - I.A.)

 

Alla Mideastern Radio l'avvicendamento dei dipendenti era tale che Mickey Lloyd non riusciva a star dietro ai suoi uomini. Non era solo la faccenda dei richiami alle armi: i dipendenti continuavano ad andarsene per lavorare altrove, a salari più alti. Perciò, quando quell'ometto con il testone enorme, uscì con aria vaga da un magazzino, Lloyd diede una sola occhiata alla tuta marrone — fornita dall'azienda — e disse in tono blando: «La sirena è suonata mezz'ora fa. Vada a lavorare».

«Lavora-r-r-e?» Sembrava che l'uomo faticasse a pronunciare la parola.

Ubriaco? Lloyd. come caporeparto, questo non poteva permetterlo. Buttò via la sigaretta, avanzò e fiutò. No. non era liquore. Guardò il numero sulla tuta dell'uomo.

«Due-zero-quattro, uhm. È nuovo?»

«Nuovo. Uh?». L'uomo si massaggiò un bozzo che gli stava crescendo sulla fronte. Era uno strano individuo, piccolo, calvo come una valvola, con la faccia pallida e contratta e gli occhietti minuscoli che avevano un'espressione di stordito stupore.

«Avanti, Joe, sveglia!» Lloyd cominciava a spazientirsi. «Lavora qui, no?»

«Joe». disse pensieroso l'uomo. «Lavoro. Sì, io lavoro. Io li faccio». Cuciva insieme le parole in modo strano, come se avesse il palato fesso.

Lioyd lanciò un'altra occhiata al numero, poi afferrò Joe per il braccio e lo trascinò attraverso il reparto montaggio. «Ecco il suo posto. Si sbrighi. Sa cosa deve fare?»

L'altro raddrizzò la figura scarna. «Io sono... esperto», disse. «Li faccio meglio di Ponthwank».

«Okay», disse Lloyd. «E allora li faccia». E se ne andò.

L'uomo chiamato Joe esitò, tastandosi il livido sulla testa. La tuta attirò la sua attenzione e la esaminò con aria meravigliata. Dove... oh, si. L'aveva trovata appesa nella stanza da dove era uscito. I suoi abiti, naturalmente, s'erano dissolti durante il viaggio... che viaggio?

Amnesia, pensò. Era caduto dal... dal qualcosa... quando aveva rallentato e s'era fermato. Com'era strana quell'enorme stalla piena di macchina. Non gli ricordava niente.

Amnesia, ecco. Lui era un operaio. Fabbricava cose. In quanto all'ambiente che non gli era familiare, beh. non voleva dir niente. Era ancora stordito. Fra poco la nebbia sarebbe svanita dalla sua mente. Già incominciava a svanire.

Lavoro. Joe si aggirò per lo stanzone, sforzandosi di pungolare la propria memoria lacunosa. Uomini in tuta che fabbricavano cose. Cose semplici, ovvie. Ma com'erano puerili... elementari! Forse quello era un asilo d'infanzia.

Dopo un po', Joe andò in un magazzino ed esaminò alcuni modelli ultimati di radiofonografi. Dunque era così. Ingombranti e goffi, ma non toccava a lui dirlo. No. Il suo lavoro era fabbricare Twonky.

Twonky? Quel nome diede un nuovo scossone alla sua memoria. Naturalmente sapeva fabbricare i Twonky. Li aveva fabbricati per tutta la vita... era stato addestrato apposta per quel lavoro. Adesso usavano un modello nuovo di Twonky, ma che diavolo! Era un gioco da bambini per un operaio esperto.

Joe ritornò nello stanzone del montaggio e trovò un banco vuoto. Cominciò a fabbricare un Twonky. Di tanto in tanto sgattaiolava via e rubava il materiale necessario. A un certo punto, quando non riuscì a trovare un po' di tungsteno, costruì in fretta e furia un piccolo aggeggio e lo produsse.

Il suo banco era in un angolo lontano e male illuminato, sebbene agli occhi di Joe sembrasse luminosissimo. Nessuno notò l'apparecchio che stava completando rapidamente. Joe lavorava in fretta, molto in fretta. Non badò alla sirena di mezzogiorno e, all'ora dell'uscita, il suo compito era terminato. Forse ci sarebbe voluta un'altra mano di vernice... gli mancava il Brillotono dei Twonky normali. Ma nessuno degli altri aveva il Brillotono. Joe sospirò, si infilò sotto il banco, cercò invano un materassino rilassante e si addormentò sul pavimento.

Si svegliò poche ore dopo. La fabbrica era deserta. Stranissimo! Forse erano cambiati gli orari di lavoro. Forse... Joe si sentiva strano. Il sonno aveva dissipato le nebbie dell'amnesia, se di amnesia s'era trattato, ma lui si sentiva ancora stordito.

Borbottando sottovoce, mandò il Twonky nel magazzino e lo confrontò con gli altri. Superficialmente era identico a un radiofonografo ultimo modello. Ispirandosi al disegno degli altri, Joe aveva camuffato e mimetizzato i vari organi e reattori.

Tornò nello stanzone del montaggio. Allora le ultime nebbie svanirono dalla sua mente. Le spalle di Joe sussultavano convulsamente.

«Grande Snell!» esclamò. «Dunque è così! Sono incappato in un groviglio temporale!»

Guardandosi intorno sgomento, fuggi nel magazzino dal quale era uscito la prima volta. Si tolse la tuta e la riappese al gancio. Poi andò in un angolo, tastò l'aria, annui soddisfatto, e si sedette nel vuoto, a un metro dal pavimento. Poi Joe spari.

 

«Il tempo», disse Kerry Westerfield, «è curvo. Finisce per ritornare al punto di partenza. Ecco la duplicazione». Appoggiò i piedi su una pietra del camino e si stirò soddisfatto. In cucina, Martha fece tintinnare bottiglie e bicchieri.

«Ieri a quest'ora ho bevuto un Martini», disse Kerry. «La curva temporale indica che ora dovrei berne un altro. Mi ascolti, angelo mio?»

«Lo sto versando», rispose l'angelo.

«Allora hai capito la mia osservazione. Eccone un'altra. Il tempo descrive una spirale anziché un cerchio. Se chiami il primo ciclo a, il secondo a più 1... capisci? Il che significa un Martini "doppio per questa sera».

«Lo sapevo che sarebbe andata a finire così», commentò Martha, entrando nel grande soggiorno dalle travi di quercia. Era una donna piccola, bruna, con un visetto straordinariamente grazioso e una figura altrettanto notevole. Il grembiulino di percalle sembrava un po' assurdo, in combinazione con i calzoni e la camicetta di seta. «E non fabbricano gin a contenuto infinito d'alcol. Ecco il tuo Martini». Agitò lo shaker e manipolò i bicchieri.

«Agita lentamente», l'ammoni Kerry. «Non scuotere così. Ah... ci siamo». Prese il bicchiere e lo studiò con aria di apprezzamento. I capelli neri spruzzati di grigio luccicarono sotto la luce della lampada, mentre lui sorseggiava il Martini. «Buono. Ottimo».

Martha bevve lentamente, adocchiando il marito. Un tipo simpatico, Kerry Westerfield. Quarant'anni e passa, piacevolmente brutto, con la bocca larga e, talvolta, una brillio sardonico negli occhi quando contemplava la vita. Erano sposati da dodici anni, e con reciproca soddisfazione.

L'ultimo riflesso fioco del tramonto entrò dalla finestra, inquadrando il mobile piazzato contro il muro, vicino alla porta. Kerry lo guardò con interesse.

«Bello», commentò. «Tuttavia...»

«Cosa? Oh. Gli uomini hanno faticato a portarlo su per la scala. Perché non lo provi. Kerry?»

«Tu non l'hai provato?»

«Quello vecchio era già abbastanza complicato», disse Martha, perplessa. «Questi aggeggi mi confondono. In casa mia c'era un Edison. Lo caricavi con la manovella, e dalla tromba uscivano rumori strani. Quello lo capivo. Ma adesso... premi un bottone, e succedono cose straordinarie. Occhi magici, selezioni delle tonalità, dischi che vengono suonati su entrambe le facciate, con l'accompagnamento di strani gemiti e ticchettii all'interno del mobile... probabilmente queste cose tu le capisci. Io non ci tengo neppure. Ogni volta che suono un disco di Crosby su un super-marchingegno come quello. Bing sembra imbarazzato».

Kerry mangiò l'oliva del Martini. «Metterò Sibelius». Indicò il tavolo «Lì c'è un nuovo disco di Crosby per te. Il più recente».

Martha sorrise felice. «Allora magari posso, eh?»

«Uh-uh».

«Ma dovrai mostrarmi come si fa».

«Semplice», disse Kerry. guardando raggiante il radiofonografo. «Sono molto efficienti, sai. Fanno tutto, tranne pensare».

«Vorrei tanto che lavasse i piatti», commentò Martha. Posò il bicchiere, si alzò e andò in cucina.

Kerry accese una lampada e andò a esaminare la nuova radio. L'ultimo modello della Mideastern. con tutte le nuove migliorie. Era costato parecchio... ma che diavolo, poteva permetterselo. E quello vecchio ormai era ridotto agli estremi.

Vide che la spina non era innestata. E non si vedevano i fili... neppure quello a terra. Forse era una novità. Antenna e filo a terra incorporati. Kerry si chinò, cercò una presa e innestò la spina.

Poi aprì gli sportelli e studiò le manopole con aria soddisfatta. Un raggio di luce azzurrina scaturì all'improvviso e gli investi gli occhi. Dall'interno dell'apparecchio uscì un lieve ticchettio pensieroso che cessò di colpo. Kerry batté le palpebre, regolò manopole e interruttore e si mordicchiò un'unghia.

La radio disse, con voce distante: «Schema psicologico controllato e registrato».

«Eh?» Kerry girò una manopola. «Chissà che cos'era? Una stazione di dilettanti... no, non sono in onda. Uhm». Alzò le spalle e andò a sedersi davanti agli scaffali degli album. Scorse rapidamente con lo sguardo i titoli e i nomi dei compositori. Dove era il «Cigno di Tuonela?». Eccolo lì, accanto a «Finlandia». Kerry tirò giù l'album e lo aprì. Con la mano libera estrasse una sigaretta dalla tasca, se la mise tra le labbra e cercò a tentoni i fiammiferi sul tavolo accanto. Il primo fiammifero si spense subito.

Lo buttò nel camino. Stava per prenderne un altro quando un leggero rumore attirò la sua attenzione. La radio stava attraversando la stanza e veniva verso di lui. Un tentacolo sottile scaturì da chissà dove, prese un fiammifero, lo strusciò sotto il piano del tavolo come aveva fatto Kerry e accostò la fiammella alla sigaretta.

I riflessi automatici presero il sopravvento. Kerry aspirò, e scoppiò in una serie di colpi di tosse squassante. Si piegò in due, ansimando, accecato.

Quando fu in grado di vedere di nuovo, la radio era tornata al suo posto.

Kerry si strinse fra i denti il labbro inferiore. «Martha», chiamò. «La minestra è pronta», disse la voce di lei.

Kerry non rispose. Si alzò, si avvicinò alla radio e la guardò, esitante. Il cordone era sfilato dalla presa. Impacciato, tornò a inserirlo.

Si chinò per esaminare le gambe del mobiletto. Sembravano di legno rifinito finemente. Le tastò con la mano, ma senza scoprire nulla. Era legno... duro e fragile.

Come diavolo...

«A cena!» gridò Martha.

Kerry buttò la sigaretta nel camino e uscì lentamente dal soggiorno. La moglie, che stava mettendo in tavola la salsiera, lo fissò.

«Quanti Martini hai bevuto?»

«Uno solo», disse Kerry in tono vago. «Devo essermi assopito per un momento. Sì, dev'essere così».

«Bene, rimpinzati», ordinò Martha. «È l'ultima occasione che hai di ingozzarti come un porco della mia minestra, almeno per una settimana».

Distrattamente. Kerry prese il portafoglio, tirò fuori una busta, e la buttò alla moglie. «Ecco il tuo biglietto, angelo mio. Non perderlo».

«Oh? Uno scompartimento tutto per me?» Martha rimise il biglietto nella busta e gorgogliò felice. «Sei un tesoro. Sei certo che te la caverai senza di me?»

«Uh? Uhm... credo di sì». Kerry salò l'avocado. Si scosse, come uscendo dallo stordimento. «Sicuro. Me la caverò benissimo. Tu va' a Denver e aiuta Carol ad avere il bambino. Resta tutto in famiglia».

«Be-eh, è la mia unica sorella...» Martha sorrise. «Sai come sono, lei e Bill. Agitatissimi. Hanno bisogno di qualcuno che non perda la testa».

Kerry non rispose. Stava rimuginando davanti a una forchettata di avocado, mormorò qualcosa a proposito del Venerabile Beda.

«Che cosa?»

«La lezione di domani. A ogni corso finiamo per impantanarci con Beda, chissà perché. Ah, beh».

«Hai preparato la lezione?»

Kerry annui. «Sicuro». Insegnava all'università da otto anni, e ormai doveva conoscere i sistemi!

Più tardi, quando erano arrivati al caffè e alle sigarette, Martha diede un'occhiata all'orologio. «È ora di andare alla stazione. È meglio che finisca di fare le valige. I piatti...»

«Li laverò io». Kerry segui la moglie in camera da letto e cercò di aiutarla, senza concludere molto. Dopo un po', portò le valige alla macchina. Martha lo raggiunse, e andarono alla stazione.

 

Il treno era in orario. Mezz'ora dopo la partenza di Martha, Kerry rimise la macchina in garage, entrò in casa e sbadigliò. Era stanco. Bene, i piatti, poi una birra e un libro da leggere a letto.

Lanciò un'occhiata perplessa alla radio, entrò in cucina e cominciò a pasticciare con l'acqua e il detersivo. Il telefono squillò dal corridoio. Kerry si asciugò le mani con uno strofinaccio e andò a rispondere.

Era Mike Fitzgerald, che insegnava psicologia all'università.

«Ciao, Fitz».

«Ciao. Martha è partita?»

«Sì. L'ho appena accompagnata alla stazione».

«Hai voglia di fare due chiacchiere, allora? Ho qui un po' di ottimo Scotch. Perché non fai un salto da me?»

«Lo farei con piacere», disse Kerry, sbadigliando di nuovo. «Ma sono stanco morto. Domani è un gran giorno. Tu sei in ozio?»

«Sicuro. Ho appena finito di correggere i compiti, e sento il bisogno di aguzzarmi la mente. Cosa c'è?»

«Niente. Aspetta un momento». Kerry posò il telefono e girò la testa con una smorfia. Dalla cucina arrivavano strani rumori. Cosa diavolo...?

Percorse il corridoio e si fermò sulla soglia, immobile, sbarrando gli occhi. La radio stava lavando i piatti.

Dopo un po' ritornò al telefono. Fitzgerald disse: «C'è qualcosa?»

«La mia nuova radio», disse Kerry. «Sta lavando i piatti».

Per un momento, Fitz non rispose. La sua risata era un po' esitante. «Oh?»

«Ti richiamo io», disse Kerry, e riattaccò. Per un po' rimase immobile, mordicchiandosi il labbro. Poi tornò in cucina e si fermò a guardare.

La radio gli voltava la parte posteriore. Parecchi, agili tentacoli manipolavano i piatti, li immergevano con mosse esperte nell'acqua calda saponata, li strofinavano con lo straccetto, li risciacquavano e poi li allineavano in bell'ordine sullo scolapiatti. I tentacoli erano gli unici segni di attività insolita. Le gambe sembravano solide.

«Ehi!» disse Kerry.

La radio non rispose.

Si spostò per poterla esaminare più da vicino. I tentacoli uscivano da una fenditura sotto una delle manopole. Il cordone era penzolante. Quindi, non c'era corrente. Ma che cosa...

Kerry arretrò e tirò fuori a tentoni una sigaretta. Immediatamente la radio si girò, prese uno zolfanello dal portafiammiferi sopra il fornello e si fece avanti. Kerry sbatté le palpebre, studiando le gambe. Non potevano essere di legno. Si piegavano mentre la... la cosa si muoveva, erano elastiche come gomma. La radio aveva un movimento stranissimo, sghembo, come niente altro al mondo.

Accese la sigaretta a Jerry, ritornò all'acquaio e riprese a lavare i piatti.

Kerry ritelefonò a Fitzgerald. «Non stavo scherzando. Ho le allucinazioni o qualcosa del genere. Quella maledetta radio mi ha appena acceso una sigaretta».

«Aspetta un momento...» Fitzgerald aveva un tono indeciso. «È uno scherzo... vero?»

«No. E non credo neppure che sia un'allucinazione. Questo è il tuo campo. Puoi venire qui a controllare i riflessi delle mie ginocchia».

«D'accordo», disse Fitz. «Dammi dieci minuti. E prepara qualcosa da bere».

Riattaccò e Kerry, posando il ricevitore, si voltò e vide la radio uscire dalla cucina e dirigersi verso il soggiorno. La sagoma tozza, squadrata, gli parve all'improvviso orripilante, come uno gnomo bizzarro. Kerry rabbrividì.

Segui la radio e la trovò al solito posto, immobile e impassibile. Aprì gli sportelli, esaminò il piatto, il braccio, la puntina, gli altri pulsanti e tutto il resto. Non c'era niente che apparisse fuori dal normale. Toccò di nuovo le gambe. No, non erano di legno. Un tipo di plastica molto dura. Oppure... forse erano proprio di legno. Era difficile scoprirlo senza rovinare la vernice. Kerry non se la sentiva di usare un coltello sul suo nuovissimo radio-fonografo.

Provò la radio, e captò senza difficoltà le stazioni locali. La sintonia era buona... eccezionale, pensò. Il fonografo...

Prese l'«Entrata dei Boiardi» di Halvorsen, a caso, e lo mise sul piatto, e abbassò il coperchio. Non uscì neppure un suono. Controllò, e vide che la puntina scorreva ritmicamente lungo il solco, ma senza risultati udibili. Come mai?

Kerry tolse il disco mentre squillava il campanello. Era Fitzgerald, alto, dinoccolato, malinconico, con la faccia coriacea e grinzosa e un ciuffo spettinato di capelli grigi. Tese la grossa mano ossuta.

«Mi avevi promesso da bere. Dov'è?»

«Ciao, Fitz. Vieni in cucina. Te lo preparerò. Un highball?»

«Un highball».

«Okay». Kerry lo precedette. «Ma non berlo subito. Voglio mostrarti il mio radiofonografo».

«Quello che lava i piatti?» chiese Fitzgerald. «Che altro fa?»

Kerry gli porse un bicchiere. «Non vuol suonare i dischi».

«Oh, beh. Una cosetta da niente, se sbriga i lavori di casa. Diamogli un'occhiata». Fitzgerald andò in soggiorno, scelse il «Pomeriggio di un fauno» e si avvicinò alla radio. «Non è attaccato».

«Non ha nessuna importanza», scattò Kerry.

«È a batteria?» Fitzgerald mise il disco sul piatto e regolò i comandi. «Ora vedremo». Si rivolse a Kerry con un sorriso trionfante. «Ebbene? Adesso suona».

Suonava, infatti.

Kerry disse: «Prova un po' il pezzo di Halvorsen. Ecco». Porse il disco a Fitzgerald, che premette il pulsante dell'arresto e guardò la testina rialzarsi.

Ma questa volta il fonografo rifiutò di suonare. L'«Entrata dei boiardi» non gli piaceva.

«Strano», borbottò Fitzgerald. «Probabilmente il difetto è nel disco. Proviamone un altro».

Non ci furono difficoltà con «Dafni e Cloe». Ma la radio rifiutò silenziosamente il «Bolero».